Il Consiglio direttivo della Banca centrale europea del 21 luglio 2022 verrà ricordato come quello di una “svolta” della politica monetaria europea non solo per il primo, e consistente, aumento dei tassi d’interesse, ma anche per l’introduzione di un nuovo strumento anti-frammentazione, denominato Transmission Protection Instrument (TPI), l’atteso “scudo anti-spread”. Per quanto riguarda lo “scudo anti-spread”, del quale non sono stati rivelati dettagli tecnico-finanziari, viene specificato che “il Consiglio direttivo ha ritenuto necessaria l’istituzione del TPI al fine di sostenere l’efficace trasmissione della politica monetaria” e che “il TPI rappresenta un ulteriore strumento a disposizione del Consiglio direttivo attivabile per contrastare ingiustificate, disordinate dinamiche di mercato che mettono seriamente a repentaglio la trasmissione della politica monetaria in tutta l’area dell’euro”. “La portata degli acquisti del TPI dipenderà dalla gravità dei rischi per la trasmissione della politica monetaria – viene aggiunto -. Gli acquisti non sono soggetti a restrizioni ex ante”. La stampa italiana – in particolare Il Corriere della Sera – ha scritto che si tratta di un “meccanismo pensato per l’Italia”.
Ho più di un dubbio in proposito. Suggerisco che il Governo (attuale e prossimo) studi con cura la materia prima di pensare di trarre vantaggio dal TPI. In primo luogo, il rialzo dei tassi di 50 punti di base e l’annuncio di altri rialzi nei prossimi mesi è una chiara indicazione che in seno al Consiglio della Bce gli Stati membri dell’unione monetaria considerati “frugali” fanno sentire la propria voce più di prima: gli elettori dei loro Governi (che questi ultimi devono ascoltare per restare in sella) sono stanchi e stufi di strumenti finanziari modellati sulle esigenze di un Paese la cui Pubblica amministrazione è indebitatissima (150% del Pil), non fa nulla per ridurre il peso del debito ma anzi si prepara a nuovi “scostamenti di bilancio” e a chiedere che qualche sportello della Bce (come il Pepp – Pandemic Emergency Purchase Programme – quello di cui l’Italia è stato il maggior beneficiario) acquisti titoli di Stato difficili da collocare sul mercato a prezzi non elevati. L’aumento dei tassi già deciso e quelli annunciati faranno crescere in misura significativa quanto ogni anno l’Italia dovrà stanziare in bilancio (la prossima Legge di bilancio non è lontana) per fare fronte a quello che, in gergo, viene chiamato “il servizio del debito”. Togliendo, quindi, risorse ad altri settori.
Pochi dettagli sono stati forniti sul TPI, ma tutto fa intendere che debba essere letto nello stesso termine dell’aumento dei tassi e della fine di canali speciali di finanziamento come il Pepp. Da quello che si è letto assomiglia molto agli Stand-By Arrangement (Accordo Stand-By) del Fondo monetario internazionale di cui l’Italia beneficiò per l’ultima volta nel 1974 (ne abbiamo parlato su questa testata il 20 giugno). Forse il 1974 è una data così lontana che solo coloro che l’hanno vissuta e gli studiosi di storia economica contemporanea ne hanno il ricordo.
Lo Stand-By Arrangement (in gergo ASB) fu creato nel giugno 1952 per fornire finanziamenti ai Paesi richiedenti aiuto con problemi di bilancia dei pagamenti. L’ASB è stato sovente utilizzato dai Paesi membri ed è stato sino agli anni Ottanta del secolo scorso il principale strumento di prestito del Fondo monetario specialmente per i Paesi emergenti sul mercato dei capitali. Dopo una significativa interruzione di questo tipo di aiuto, la crisi finanziaria del 2008 ha comportato la richiesta da parte di un numero significativo di Paesi di questo tipo di assistenza. Il tasso di interesse è normalmente più vantaggioso di quelli offerti dal mercato privato. Nel 2009 il Fondo monetario ha migliorato l’ASB per essere più flessibile e rispondente alle necessità dei Paesi membri. Allo stesso tempo, i limiti di prestito sono stati raddoppiati e sono state rese disponibili maggiori anticipazioni finanziarie. In generale, le condizioni sono state snellite e semplificate. Si differenzia dai “prestiti per l’aggiustamento strutturale” (di cui abbiamo parlato spesso su questa testata) per due aspetti: a) l’accento è sul breve periodo (miglioramento della bilancia dei pagamenti, riduzione del debito); b) le procedure sono relativamente snelle.
Tra i Paesi dell’area dell’euro, la Grecia ha chiesto e ottenuto ASB quando è stata vicina a una crisi del debito sovrano nel 2010 e nel 2011: come è noto, il programma per la riduzione del debito della Repubblica Ellenica ha richiesto tempi stretti e non è stato rose e fiori.
L’Italia deve essere consapevole che l’accesso al TPI può avere implicazioni analoghe a quelle avute in Grecia. Sinora Roma ha contato sul principio too big too fail – troppo grande per poter fallire – in quanto ciò scasserebbe l’area dell’euro. Ha anche ottenuto una somma enorme per realizzare le riforme strutturali (specialmente in materia di concorrenza). Deve essere consapevole che il vento o è già cambiato o sta cambiando rapidamente.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.