Il no alla realtà che fa vacillare l’Europa

Una parte dei cittadini europei ha deciso non di abbandonare Zelensky, ma di dire addio alla realtà così come ci si presenta

La guerra in Ucraina comincia a causare stanchezza in Europa. L’opinione pubblica occidentale è stufa di fare colazione ogni giorno con la foto di un adolescente ucciso dalle bombe russe. Si avvicina l’autunno, Putin può interrompere in qualsiasi momento le forniture di petrolio e gas. Germania e Italia sarebbero i Paesi che soffrirebbero di più, ma anche il resto dell’Ue sarebbe punito dall’aumento globale dei prezzi e dalla perdita di valore dell’euro rispetto al dollaro. La tentazione di abbandonare Zelensky e raggiungere una sorta di accordo per fermare la guerra e smettere di subirne le conseguenze potrebbe aumentare nelle prossime settimane. Seducente tentazione, soprattutto, per i Paesi tradizionalmente più vicini a Mosca e per i partiti politici finanziati da Putin.

Ma quello che è successo con l’accordo per trasportare i cereali ucraini attraverso il Mar Nero è stato un segnale del fatto che la Russia non rispetti i patti. Fino alla scorsa settimana, il blocco all’esportazione di grano e mais aveva lo scopo di strangolare l’economia ucraina e mettere sotto pressione l’Occidente con una crisi alimentare che avrebbe aumentato la migrazione. Più di 300 milioni di persone nel mondo soffrono già la mancanza di cibo. Questa tattica di Putin aveva allarmato i partner di Mosca in Nord Africa e Medio Oriente. La carenza di pane e mangime per il bestiame potrebbe rivoltarsi contro Mosca. L’apertura di una via, aggirando le mine, come concordato a Istanbul, potrebbe anche essere una fonte di reddito per l’economia russa. Era logico che Mosca fosse disposta a essere più flessibile. Ciò che sorprende è che, poche ore dopo l’accordo siglato sotto la supervisione delle Nazioni Unite, le bombe sono cadute su Odessa. Putin o il suo esercito, o chi comanda, non sono affidabili.

L’Ucraina non deve necessariamente rinunciare ai suoi obiettivi. La “strategia di corrosione” di Kiev sta dando alcuni risultati: colpisce le difese aeree russe, la sua logistica e i rifornimenti provenienti dalla Crimea. Il prestigioso analista militare Lawrence Freedman ha sottolineato qualche giorno fa che “l’apparente fermezza di Putin nasconde una paralisi politica”. Le sanzioni occidentali, invece, seppur lentamente, stanno sortendo effetti. Non serviranno a vincere la guerra immediatamente, ma per l’esercito russo è sempre più complicato acquistare componenti tecnologici sul mercato internazionale. E senza questi componenti è molto difficile per i suoi aerei volare ed essere precisi.

Non dobbiamo rifiutare una sorta di armistizio che, in cambio di trasferimenti territoriali, fermi il dissanguamento di vite umane. Ma se questa volta Putin non verrà fermato, in un modo o nell’altro, la dozzina di autocrati, a capo di grandi e medie potenze, penseranno di poter fare quello che vogliono. Il mondo sarà allora un posto ancora più pericoloso.

L’Europa, per quanto possibile, deve restare unita. Se Bruxelles trasformasse la sua raccomandazione di risparmiare il 15% del gas in un obbligo, sarebbe un bene per Putin se Paesi come la Spagna non si adeguassero. Non si tratta solo di fare in modo che i partner dell’Ue siano disposti a mantenere una posizione comune. Il Vecchio continente può aiutare a vincere la guerra stando unito di fronte al sacrificio e con il sistema delle sanzioni. Anche se probabilmente il maggior contributo che può dare è rimanere fedele al sistema democratico rappresentativo, con il suo contrappeso di poteri e la sua complessità istituzionale.

Ci sono segnali più che sufficienti che questo è esattamente ciò che sta iniziando a vacillare. Il risultato delle elezioni legislative in Francia o la caduta del Governo Draghi sono sintomi che una parte dei cittadini europei ha deciso, proprio in questo momento critico, non di abbandonare Zelensky, ma di dire addio alla realtà così come ci si presenta.

È un problema delle élite politiche, ma anche dell’opinione pubblica, disposta ad accettare con entusiasmo un alto deficit di verità. Conosciamo il processo che consente al populismo di destra o di sinistra di vincere le elezioni o rovesciare un Governo. Si comincia nutrendo l’antipolitica (si afferma che i politici tradizionali sono responsabili di tutti i mali). Dopo si alimenta la sfiducia nei confronti delle istituzioni, un’operazione che gli opinion maker possono sfruttare per ottenere un po’ più di audience. Allo stesso tempo, la post-verità (cioè la menzogna) si estende tramite rifiuto di ogni notizia che non conferma l’ideologia stessa. A tutto questo si aggiungono grandi dosi di polarizzazione. E il terreno è fertile per la nascita e lo sviluppo di leader che parlano a nome del popolo. 

Questi leader, a loro volta, minano la fiducia in ciò che è proprio di una democrazia deliberativa. Niente di tutto questo accadrebbe se da anni la società civile non rinunciasse alla realtà così com’è, alla sua complessità. Una volta che smettiamo di sentirci responsabili (chiamati a rispondere) per le cose (buone e cattive) che accadono e ci limitiamo a lamentarci della crisi, dell’arrivo dei migranti, della globalizzazione, dell’Ue, del progressismo e del conservatorismo, la democrazia esce dalla finestra ed entrano dalla porta supposte soluzioni neofasciste o neocomuniste (conviene usare bene questi termini). Il costo di dire addio alla realtà è molto alto.

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