Se è prematuro fare previsioni sui risultati del 25 settembre, si può però tentar di capire come il sistema elettorale in vigore, il Rosatellum, sta condizionando le trattative tra i partiti e dentro le coalizioni, a tutte le latitudini dello schieramento. Da Lega e FdI fino ad Articolo Uno e Pd, passando per le sigle centriste e M5s, i giochi veri si concentrano sui collegi uninominali, che favoriscono le alleanze tra partiti, indotti a sostenere un candidato comune ritenuto vincente.
Ricordiamo che alle elezioni politiche del 25 settembre, in conseguenza della riduzione del numero dei parlamentari approvata nel 2020, si eleggeranno 400 deputati (invece di 630) e 200 senatori (invece di 315). Ma il funzionamento del Rosatellum non cambia: i parlamentari saranno eletti per un terzo (147 deputati e 74 senatori) con il maggioritario, in collegi uninominali, e per i rimanenti due terzi (245 deputati e 122 senatori) in modo proporzionale. La Camera è eletta su base nazionale, il Senato su base regionale; per accedere al riparto dei seggi, a ogni partito serve il 3% dei voti su base nazionale, a ogni coalizione il 10%, sempre su base nazionale.
A Stelio Mangiameli, ordinario di diritto costituzionale nell’Università di Teramo, esperto di regionalismo e sistemi elettorali, abbiamo chiesto di spiegare da vicino come funziona la legge elettorale Rosato e come stia plasmando l’offerta politica. E c’è anche spazio – secondo il giurista – per qualche dubbio di costituzionalità.
Il Rosatellum è stato concepito nel 2017, in un assetto tripolare. Ora il campo politico è molto più frammentato, soprattutto a sinistra. Il Rosatellum è indifferente, nel suo funzionamento, alla mutata situazione?
Ogni sistema politico determina la legge elettorale più funzionale e ogni legge elettorale funzionalizza, in una certa misura, il sistema politico. In Italia il problema è che il sistema politico è permanentemente in crisi, non si stabilizza con la legge elettorale, e le leggi elettorali vengono di continuo modificate.
Oggi però possiamo sapere se vanno bene oppure no.
È vero: la Corte costituzionale ha ampliato le maglie di ammissibilità delle questioni pregiudiziali e le leggi elettorali possono essere sottoposte a sindacato di costituzionalità ancor prima di essere applicate. Detto ciò, possiamo affermare che nessuna legge elettorale è indifferente ai cambiamenti politici e in una qualche misura tende a condizionarli.
Ci aiuta a capire in che modo la struttura del Rosatellum pre-condiziona le alleanze politiche?
Nella quota proporzionale la gara tra i partiti, anche tra quelli coalizzati, è alquanto libera e sarà il dato del proporzionale a determinare la classifica dei partiti. L’unico problema reale è il trasferimento dei voti dati dagli elettori alle liste sottosoglia, che vengono conteggiati a favore dei partiti soprasoglia. Questo meccanismo infernale, per il quale è più che lecito nutrire qualche dubbio di costituzionalità, in realtà serve a tenere sotto controllo questi partitini nella quota maggioritaria dove potrebbero fare la differenza.
La quota proporzionale è determinante dal punto di vista delle alleanze di governo?
No, non determina alcun vincolo. Anzi, il proporzionale con liste concorrenti è il presupposto per non parlare di coalizioni e per i partiti di riservarsi le decisioni di governo dopo i risultati delle urne.
E la quota maggioritaria?
È anomala sotto diversi punti di vista e non funziona affatto come un catalizzatore per eventuali maggioranze di governo, come del resto abbiamo visto nella legislatura che si è appena conclusa.
Concentriamoci sui collegi uninominali, che favoriscono le alleanze tra partiti, indotti ad allearsi e a sostenere un candidato comune ritenuto vincente. Questo cosa comporta?
In primo luogo, la dimensione della parte maggioritaria dei collegi uninominali è troppo ridotta rispetto alla quota proporzionale: solo un terzo. Ad esempio, nel “Mattarellum” i collegi uninominali erano pari al 75% dei seggi e in Germania sono, in partenza, pari al 50% dei seggi.
Cosa ne consegue?
Ne viene che la legge elettorale attuale ha una scarsissima capacità di coalizzare i partiti in vista del voto e quasi niente dopo il voto di mantenere i partiti vincolati alle alleanze elettorali.
Torniamo ai collegi uninominali.
In secondo luogo, dicevo, bisogna fare i conti con la riduzione del numero dei parlamentari, dovuta alla legge costituzionale n. 1/2020. Con la riforma i collegi uninominali si sono dilatati consistentemente.
Può dirci le dimensioni?
Quelli della Camera dei deputati superano considerevolmente i 400mila abitanti per collegio e quelli del Senato della Repubblica oscillano tra 800mila/1 milione di abitanti. Tutto l’opposto del “Mattarellum”, nel quale il collegio per la Camera era sui 100mila abitanti e quello per il Senato di circa 200mila.
Nel merito della rappresentanza?
Il sistema dei collegi uninominali può funzionare bene e la scelta del candidato da parte dei partiti assumere un significato territorialmente significativo solo se la constituency elettorale è piccola o comunque limitata, perché consente di far valere le qualità del candidato, più che quelle del partito, e al voto del singolo elettore di contare effettivamente nella scelta politica.
Se invece si dilatano i collegi, come è avvenuto?
Si prendono in giro gli elettori e, in queste condizioni, non escluderei neppure qualche violazione dei principi costituzionali enunciati dalla Corte costituzionale per la materia elettorale (v. sentenze n. 1/2014 e n. 35/2017).
E se adesso volessimo esaminare l’effetto dei collegi uninominali, cioè della quota maggioritaria, sulle trattative politiche? Partiamo dal centrodestra.
Chiediamoci: a che serve la quota maggioritaria? Serviva soprattutto a soddisfare le richieste del centrodestra, che ha avuto, almeno in passato, una maggiore propensione per le battaglie maggioritarie. Tuttavia, proprio in questa legislatura, anche il centrodestra ha fatto a meno sin dall’inizio di questa propensione maggioritaria: abbiamo avuto la Lega al governo con il M5s e infine il centrodestra di governo a fronte di quello di opposizione. Inoltre non sappiamo ancora se il centrodestra ha trovato una vera unità, oppure se possano accadere delle fratture proprio in vista delle elezioni. Pensiamo in particolare alla determinazione della regola sull’indicazione del leader della coalizione che dovrebbe indicare anche, in caso di vittoria, il presidente del Consiglio. Bisogna poi considerare come può funzionare questa quota maggioritaria.
Vale a dire?
Più che coalizzare i partiti e anticipare agli elettori le alleanze dei governi, può spingerli a posizioni estreme che possono essere ricattatorie o addirittura disfattiste.
Facciamo qualche esempio?
Il problema nella quota maggioritaria sono i collegi uninominali incerti che, però, con la dilatazione dei collegi, sono ora la maggior parte. In questi collegi una forza del 3% – o anche meno, e cioè sotto soglia dal punto di vista della quota proporzionale – può fare la differenza, per cui partecipa all’alleanza elettorale nella quota maggioritaria solo a condizione che sia sovra-rappresentata nei collegi uninominali e la tecnica del voto congiunto può persino favorirli. Oppure, i partiti piccoli possono sfidare i partiti maggiori dichiarando di non allearsi e favorendo indirettamente le alleanze elettorali avversarie. Ovviamente si può dichiarare di non volersi alleare anche per alzare il proprio prezzo di vendita.
Come ha fatto ieri Renzi, quando ha detto “Per ora corriamo da soli”?
Esattamente.
Andiamo avanti: quota maggioritaria e partiti centristi.
La galassia dei partiti di centro, anche se si alleassero tra di loro, il che, ritengo, è poco realistico, sarebbe comunque poco significativa. La loro area, anche se dovesse raggiungere il 20%, non sarebbe in grado di conquistare un solo seggio uninominale, salvo nel caso di un’abnorme concentrazione territoriale del consenso di quest’area.
Quota maggioritaria rispetto a Pd e M5s?
La galassia di centro ha bisogno di almeno un partito pivot che consenta di sostenere la sfida in modo vincente. Ed è questo il caso più del Pd che non del M5s, in quanto il presunto consenso dei dem è l’unico che consentirebbe di contrastare l’area del centrodestra coalizzato.
Non servirebbero anche i voti del M5s?
Sì, ma la praticabilità di un’alleanza così ampia è alquanto scarsa; e se il M5s viene escluso dall’alleanza, per via della caduta del Governo Draghi, è sì punito, ma la punizione somiglierebbe tanto ad una autoflagellazione per il Pd e i suoi alleati, perché per il consenso che gli resta, che non è trascurabile, il M5s potrebbe fare tanto la differenza nella quota maggioritaria.
Ma allora, se le cose stanno così…
Non è da escludere che il calcolo elettorale possa, alla fine, anche indurre a perdonare colpe recenti e meno recenti.
In sintesi, professore, cosa c’è di certo?
Anche se sono possibili delle sorprese, si può senz’altro dire che l’attuale sistema elettorale non è nato per ridurre la frammentazione politica e neppure per favorire la formazione di una maggioranza di governo stabile e duratura.
Quindi?
Possiamo immaginare che dopo il voto del 25 settembre si manterranno perfettamente vivi tutti i difetti del sistema politico attuale e questo avrà ripercussioni tanto a destra quanto a sinistra, e anche rispetto a questa nuova area di centro. Sempre ammesso che alla fine essa si affermi in misura minimamente significativa.
(Federico Ferraù)
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