Nel caso italiano avremo una curva ripida inerente al rapporto Pil/debito perché andremo ad abbattere la disoccupazione, vedremo come.
Nel mondo esiste un Paese con un debito pubblico stratosferico: il Giappone. Ed esiste una narrazione secondo la quale il Giappone ha perso decenni di crescita, dal 1990, a causa del forte debito. In realtà i dati dicono l’esatto contrario.
Se parliamo di ciò che conta, cioè del prodotto interno reale per popolazione in età lavorativa, il Sol Levante in realtà ha fatto meglio di tutti i Paesi industrializzati. Se l’obiettivo è aumentare la produttività, un Paese con piena o quasi occupazione cresce più lentamente. Il Kenya cresce mediamente dell’8% annuo, contro l’1% del Giappone, ma appunto perché il Giappone è già sviluppato. Conta il 2,5% di disoccupazione e salari in crescita costante; il giapponese medio percepisce ad ogni cambio lavorativo quasi il 10% in più di aumento.
Da dove nasce questa crescita nonostante il debito enorme? Dagli investimenti a debito, coperti dalla Banca centrale del Giappone per un buon 80%, quindi non esposti a speculazione. Recentemente infatti la BoJ ha acquistato titoli di stato appunto per evitare azioni speculative legate alla guerra in Ucraina da parte di grossi fondi internazionali.
L’Italia, per crescere seriamente nonostante il debito, dovrebbe osare. Vediamo come.
Innanzitutto diminuendo la pressione fiscale: in Giappone è al 30% (e con questa percentuale Tokyo ha pure incassato in proporzione di più) rispetto al 43,5% dell’Italia. Cioè significa che le nostre imprese sono strozzate dalle tasse, la manifattura fatica ad emergere e dallo Stato non viene nessun contributo sostanzioso (la Germania, ad esempio, elargisce quasi 500 milioni annui alle proprie imprese, soldi che per legge non vengono computati sul debito tedesco) alle imprese virtuose che assumono. Inoltre una pressione fiscale più leggera fa aumentare il finanziamento delle spese statali, facendo calare gli interessi sul debito, anche aumentando una tantum le tasse. L’Iva in Giappone è al 10%, in Italia al 25%. Soluzione: abbassare del 15% la pressione fiscale.
Il debito giapponese è circa per il 90% in mano ai risparmiatori residenti. In Italia solo il 30% è in mano ai risparmiatori, un buon 40% è in mano ad aziende di Stato ed il resto, un 30%, in mani straniere. Andrebbe ridotto con una massiccia campagna di vendita del debito agli italiani, 3-5 anni dedicati a far si che i cittadini italiani diventino proprietari fisici del debito pubblico.
Il Giappone – oltre a farsi carico di scuola, ricerca e sanità: tutto pubblico – crea occupazione finanziando enormi opere pubbliche: linee dei treni ultraveloci, centrali nucleari, infrastrutture strategiche, flotta commerciale, impianti industriali. Il tutto praticamente nazionalizzato (hanno imitato il sistema italiano anni 50 e 60 del secolo scorso).
E l’Italia? Dovremmo investire miliardi a debito e creare lavoro (e indotto) puntando ad infrastrutture strategiche, un piano energia (servono strutture, dalle trivelle ai rigassificatori), oltre a scuola, sanità e ricerca. Sono trent’anni che in Italia non si investe massicciamente con fondi pubblici ed infatti l’economia ha rallentato dal 1992, portandoci da quarta a settima potenza mondiale.
In Giappone inoltre il debito non pesa sulle pensioni, da noi invece incidono per il 15%. Occorrerebbe dare all’Inps poteri diversi (a Tokyo vanno in pensione 8 anni in media dopo di noi; prima o poi è un aspetto che anche l’Italia dovrà affrontare).
Questa visione economica sarebbe possibile a patto di rinegoziare il pareggio di bilancio (ovviamente assente in Giappone) che la Germania ha imposto nel 2011 per “tenere in sicurezza” (più corretto sarebbe dire controllare) i conti pubblici altrui.
Facciamo in modo di non ritrovarci con un tenore di vita precedente il boom economico (il rischio c’è) seguendo politiche non consone ad una economia flessibile come la nostra. Bisogna avere il coraggio di osare. Riportiamo al centro il sogno di Enrico Mattei, Pier Paolo Pasolini e Aldo Moro.
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