Non c’è (quasi) nulla di più scivoloso per un (quasi) boomer addetto alle parole che raccontare e ragionare sulle fenomenologie delle generazioni più giovani, di cui tutto si conosce e tutto si ignora, per parafrasare Montale. Il quasi boomer di Roma, qui incidentale cronachista, viene escavato dalla pressante richiesta del figlio (quasi) adolescente, per un pratico trasferimento in località Stezzano di Bergamo (611 km) per presenziare a un evento pomeridiano nel Centro Commerciale Le Due Torri. Si parte.
Sembra infatti che i diEFFE scelgano di apparire per la prima volta al loro pubblico, per festeggiare il primo milione di iscritti al loro canale (nel frattempo ampiamente superato) e raccontare una novità pazzesca. Ok, è normale, chi legge si sarà già chiesto e richiesto: chi? I diEFFE. Chi? I diEFFE, con le migliori congratulazioni per aver avuto ulteriore conferma di esser rottamandi, in generoso stand by per overbooking nel negozio di Defenestrazione vecchie generazioni & co. Srl.
Ora, sarà carino e gentile levarsi ogni sorrisino beffardo dal volto, ogni scrollatina di spalle snobbetta, ogni luddismo e ogni revanscismo, intanto per una questione numerica. Alle ultime politiche del 2018, per dire, Fratelli d’Italia prese un milione di voti al Senato e sette eletti. Un milione sono circa il doppio dei voti presi dall’Udc alla Camera. Chi conta su un esercito di un milione di unità può fare la guerra, vincerla persino. A Giorgia Meloni, ancora, visto che i sondaggi la danno vincente a guidare il Paese, per arrivare ai numeri di iscritti dei diEFFE, mancano poco più di 1.010.000 utenti sul canale YouTube E attenzione i diEFFE non sono mica quelli con più iscritti, anzi (Gabby16bit di iscritti ne ha 3,7 milioni, Lyon veleggia sui 5, i Pantellas sui 6). Ma se c’è qualcosa che i media e i capelli grigi stanno clamorosamente mancando di raccontare, per un difetto di comprensione, è proprio quello degli youtuber, che finiscono per diventare l’indicazione massimalista di un fenomeno, cui quasi mai si ricollegano volti e nomi. Un po’ come “i giovani d’oggi”. E invece bisogna guardarli in faccia, guardare cosa fanno, seguirne le produzioni con la stessa se non maggiore attenzione dell’ascolto di un telegiornale. Un altro numero? Il TG1 delle 20, ammiraglia dell’informazione, raggiunge 1,3 milioni di ascoltatori, un video dei diEffe può tranquillamente sfiorare i 4 milioni.
Obiezione non accolta sarebbe quella che opponesse a questa lettura l’incomparabilità di dati disomogenei: nossignore, qui i numeri raccontano di una potenzialità, una pura possibilità che indica, però, il potere collegato a questo tipo di comunicazione web, neanche tanto più nuova. Ecco perché, quanto meno, è corretto sapere dove stiamo andando e ragionevole voler vedere in volto chi ci sta seppellendo col sorriso sulle labbra.
Tempo di tornare ai diEFFE, che sono il profilo buono e pulito della faccenda, fratelli e figli della quieta borghesia gardesana con villetta e giardino adiacenze Verona e origini ungheresi. Il nome è l’acronimo di David e Frederick, l’uno studente di sicurezza cibernetica, l’altro fresco di diploma (contentissimo, ci racconta, di un risultato sopra le attese, 93/100, merito di un esame orale splendido e disinvolto). In meno di quattro anni, sono diventati un fenomeno a moltiplicazione esponenziale, con un target medio di pubblico dai dodici ai vent’anni. Cosa raccontano nei loro video? In via di massima, fanno un fact checking ironico sulle bufale in rete e per i social, sfruttando il cliché “finzione/realtà”, dalle ricette su tik tok ai loro celeberrimi live hacks, dove prendono col sorriso a pallonate i “5-minutes crafts“, a loro volta pagina youtube con 77 milioni di iscritti (dunque 76 milioni in più dei diEFFE), a loro volta sintesi e montaggio delle faccende più ridicole e impossibili comparse tra youtube, facebook e altri social.
Partiamo quindi col fatto che questi guardiani della comunicazione non hanno alcun bisogno di tutto ciò che è esterno, ma hanno un mondo compiuto che arriva ad autocitarsi e replicarsi fino a due, tre volte. Se l’antesignano televisivo poteva essere “Mai dire banzai” della Gialappa’s, oggi la metatelevisione diventa metasocial, fissando ai margini chiunque sia sprovvisto di quella grammatica, fatta di osservazioni e spunti talvolta ironici, talvolta più smaccatamente banali, talvolta con un lessico familiare, talvolta con un lessico più colorito. Il pacchetto complessivo si traduce in video di cinque o dieci minuti, la nuova soglia di attenzione che ripudia durate più lunghe, troppo cervellotiche, dal tono scanzonato in cui ci si fa beffa, alla fin della fiera, delle piccole e grandi bugie ereditate dalle generazioni precedenti. La società dei consumi, per paradosso, alimenta questo grande nuovo circo ed è allo stesso tempo bersaglio dell’attenzione dei nuovi media.
Quello che sembra mancare, a una primissima impressione e a uno strato che subito si disvela effimero, è una superfetazione di malizia e di divismo. Il successo dei diEFFE, e di altri come loro, è proprio la semplicità: i video sono girati (anche da Debora, loro vicina di casa) dentro una normalissima cameretta dove studiano e dormono, nella cucina dove si mangia, nel pratino rasato dall’erba alta a un passo dalla provinciale. Non si truccano, non si vestono firmati: ciabatte, maglietta e pantaloncini sono sufficienti a garantire un tipo di contatto e di immediatezza che non può non accattivare da subito; piacerebbero anche, se non alle nonne, alle mamme, per quella gioventù che si autoafferma educata e carnascialesca. E se un genitore vedesse qualcuno dei loro video, non potrebbe non convenire sul fatto che in televisione o sulle nostre piattaforme streaming si vede ben altro in termini di violenza, di linguaggio scurrile, di banalità. I diEFFE, così, incanalano tutta la foga dell’adolescenza, la smania di contestazione, la guerriglia urbana che si sviluppa tra le pareti domestiche e la edulcorano in un quieto vivere sorridente, che fugge ogni prospettiva conflittuale: coinvolgono spesso il padre, meno spesso la madre, nei loro scombiccherati tentativi di emulare le bufale circolanti sul web. Si tratta di un processo di normalizzazione dei valori borghesi, che spunta le unghie alla protesta; racconta di un grado di tolleranza che non è tanto frutto di una scelta consapevole, quanto l’unica reazione inevitabile: all’eccesso di stupidità, cattiveria e protervia circolante e propalata dalle generazioni precedenti (come quella di chi scrive) non c’è altra risposta possibile che una irriverente scrollata di spalle, tanto improbo sarebbe il compito di distruggere una tale pila di merda.
Nella forma, perciò, quello che fanno i diEFFE è, a voler trovare un contenitore colto, una nuova forma di postmodernismo, un frullatore originale in cui fatti domestici, cibernetici, sociali, lattine di coca cola, marchi, abitudini, programmi entrano in un circuito ad autopercussione, alimentato da sé stesso e con solo il bisogno che i due soffino su una miccia che brilla ed erompe di per sé, il lavoro è tutto nel cogliere in modo sincretico i diversi fatti della realtà.
Non si tratta qui di stabilire se il lavoro di questi ragazzi veronesi sia buono o cattivo, perché è probabile che a questi azzardi parrucconi e incipriati manchi una speculare dotazione di apparati critici; utilizzare le anticaglie dei professoroni di sociologia della comunicazione sarebbe ridicolo quanto aspirare il mare con una siringa da 5cc. E se non si può “giudicare” si deve almeno capire e osservare.
Breve cronaca promessa. Ore 15, manca un’ora all’inizio dell’evento organizzato dentro il Centro Commerciale; le Due Torri sono del resto note in questo spicchio ricco e produttivo di Lombardia per avere la capacità di gestire impeccabilmente grandi eventi di nomi (per i vecchi) ben più noti di questi due ragazzini veronesi. I volti iniziano lievemente a tirarsi quando, tra direzione del Centro e management dei diEFFE, ci si accorge che accalcati in attesa fuori, con una coda letteralmente spaventosa, ci sono già circa duemila ragazzi (con relativi genitori), nel giro di un’ora quella ressa di fan andrà aumentando, costringendo d’urgenza a rivedere le regole stabilite per la pubblica sicurezza e pregando ogni santo che vada tutto bene. Una massa completamente imprevista e impreventivabile.
David e Frederick, intanto, sono in un camerino nei locali della Direzione, sono agitatissimi, emozionati, increduli, sono due ragazzi che fino ad allora hanno fatto i fuochi d’artificio dentro una villetta di provincia e che per la prima volta si confrontano in carne e ossa con chi, poco prima, era solo un clic buono per un “mi piace” o un’iscrizione al canale. Sono due ragazzini che fanno una tenerezza enorme, gli occhi felici ma preoccupati, la consapevolezza di avere davvero, non più virtualmente, tra le mani qualcosa di bello ed esplosivo insieme. Piccoli dettagli che sfuggono ad una vita dietro ad upload, colorita al più da qualche fan del territorio che chiede una foto. Alle Due Torri il gioco sembra essere entrato in una serie maggiore, lo sanno bene i manager che appaiono più scaltri (ma non per questo più esperti) di quei bravi ragazzi dei diEFFE.
Hanno promesso sul loro canale da un milione di iscritti che faranno un selfie con chiunque, ma proprio chiunque glielo chiederà. La questione, in quelle dimensioni oceaniche, diventa parecchio più complessa da governare, ma non possono più venire meno a chi ha fatto chilometri, sfidando un’umidità caraibica, a quel giuramento. La sorpresa annunciata, per un evento che alla fine dura una manciata di minuti, è che finalmente sarà disponibile la loro linea di merchandising: magliette, cappellini, pantaloni che sfilano sul palco allestito, mandando in visibilio quella torma di ormonicissimi implumi scatenati; loro non possono che tirare qualcuno di quei gadget in mezzo al pubblico, con la certezza che se non tutti, la maggior parte vorrà portarsi a casa uno scalpo griffato con l’acronimo; basta pagare. C’è forse un pizzico di delusione, come le feste di piazza raccontate da Bennato, per un evento che ha tutto il sapore della provincia, ma le dimensioni di un fatto nazionale. Qualcuno sperava in uno spettacolo vero e proprio, ma i due sono usciti dalla tana (difficilmente potranno rientravi, a questo punto), si possono vedere, gli si possono stringere le mani e approfittarne per un abbraccio trasognato con i nuovi idoli di una massa reale e poco descritta.
Su questo, solo su questo, ci si permetterebbe di dare un piccolissimo consiglio ai diEFFE, che finiscono dentro un tritacarne che sbriciola la forza della spontaneità dentro un evento esclusivamente di marketing: uno ve lo perdoneranno, alla lunga non funzionerebbe. Uno stuolo di iene assettate di soldi, a mezzo sfruttamento commerciale dell’immagine, sembra profilarsi alle loro spalle, descrivendo ombre più adunche e minacciose di quanto non possa sembrare. Il successo costruito sulla freschezza dell’invenzione estemporanea non può non far gola ad un indotto di professionisti capaci con la stessa mano di blandire e intascare, accaparrarsi e accarezzare. Vendere magliette in un supermercato il pomeriggio non è mai stato così fruttuoso, ma è proprio questo che vogliono David e Frederick?
Per il resto, con gli occhi smaliziati dell’ingravescente età, ci si è limitati a raccontare e a dare qualche spunto su un fenomeno enorme che sta passandoci sotto il naso, in modo silenzioso. Con i grandi numeri, con il successo, con il consenso si possono fare moltissime cose e non tutte buone, come la storia insegna. Quale capacità di influenza sul pensiero, la formazione, l’educazione possono avere persone che contano su milioni di follower? Il tutto, per ora, è regolato dalle policy dei social (che suppliscono all’inerzia dei governi) e dal loro buon senso, che sia sufficiente appare assai dubbio. Ah, il potere!
Alla fine, a Stezzano di Bergamo, ci si sente un po’ come quel protagonista di Saramago ne La Caverna, Cipriano Algor, che converte la sua arte di ceramista nella produzione in serie di idoli e statuine (platoniche) per i negozi di un Centro Commerciale grande come il mondo. E proprio Saramago in quel libro scrive: “Volere è potere, come se le realtà bestiali del mondo non si divertissero a invertire tutti i giorni la posizione relativa dei verbi“.
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