Là dove Dio e l’uomo si incontrano

Le fotografie di Jacopo Percivaldi ci ricordano che spesso viviamo in posti pieni di bellezza o a pochi passi da essi

Non c’è bisogno di essere ai tropici o sulla cima di alte montagne per scoprire aspetti meravigliosi e misteriosi dell’ambiente in cui viviamo. La bassa milanese ci fa capire che andiamo nei posti più lontani, inaccessibili ed esclusivi e non ci accorgiamo che una forma particolare di bellezza è lì, a poca distanza da dove viviamo e ci aspetta per essere guardata e scoperta.

Le fotografie di Jacopo Percivaldi, Jaio per gli amici, sono la documentazione di un uomo che ha fatto questa esperienza: guardando intorno alla sua Abbiategrasso ha sorpreso finalmente qualcosa di unico. In questa terra, salvata miracolosamente dalla speculazione edilizia, anche grazie all’istituzione del Parco sud e del Parco del Ticino, non esistono pochi colori scontati. Esistono il verde delle risaie, dei prati da foraggio, delle foglie del pioppo, del grano non ancora maturo, delle siepi che dividono i campi; l’azzurro del cielo, dei freschi rogge e canali, della cicoria selvatica, il rosso dei papaveri, il giallo del sole, delle spighe mature; il bianco delle margherite, delle foglie che appassiscono, delle strade sterrate; il grigio del cielo in autunno, della nebbia che da queste parti vela e svela con un fascino poetico…

Sono colori così intensi e sfumati che dominano misteriosamente anche le foto in bianco e nero di Jaio, dando loro tonalità infinite e profonde. E non è un colore statico, ma un susseguirsi di cambi stagionali che qui ancora si distinguono e si amano. Ma sono solo spunti di questo mondo magico che si intuisce nelle foto; ci sono i suoni più vari: dal gorgoglio delle acque al canto degli usignoli, al frusciare di lepri e lucertole nascoste durante la calura. L’osservatore e il fotografo scoprono presto però che non siamo in una paradiso perduto: la bellezza nasce dalla libera cooperazione tra il Creatore e l’uomo.

Siamo nell’umana dimora edificata nei secoli da monaci e semplici contadini che hanno conservato ampi prati, realizzato le marcite con i loro fontanili, hanno introdotto la rotazione delle colture, hanno punteggiato la natura con stupende cascine, campanili, edifici rurali, ponti. Protagonista di questa terra e di queste immagini è il lavoro dell’uomo, documentato dagli attrezzi agricoli, dagli animali allevati senza la disumanità dell’eccessivo profitto. Un lavoro che ha sapientemente modellato la natura perché l’uomo possa viverci e prosperare insieme a libellule, aironi cinerini, querce farnie, pioppi e salici che ne sono coinquilini.

La natura è un intreccio armonico di sapienza divina e creatività umana e sembra perciò riecheggiare la domanda della Genesi (3,9): «Dove sei?». Ma non è la ricerca di un uomo colto in fallo che si nasconde, è piuttosto la chiamata di Dio Padre attraverso la bellezza della realtà, un appello che chiama l’uomo a rispondere. Dio ha bisogno dell’uomo come nell’Apocalisse (3,20): «Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me». E per renderlo possibile si incarna, diventa uomo, Presenza che cammina nella storia e rende la realtà abitata. Tutto nella Bassa parla di questa alleanza tra Dio e l’uomo: una natura meno violata che altrove, e più rispettata. Per questo alcune fotografie mostrano statue di angeli o edicole votive a santi e alla Vergine: silenti accompagnatori di questo popolo che senza clamori opera fra terra e cielo. Se tutto è implicito nella natura e nei paesi, il mistero che abita la Bassa diventa esplicito in queste figure altrimenti incomprensibili, collocate nel fondo di una stalla, alla fine di un lungo sentiero o nel lato più oscuro di un cortile.

Jaio per cogliere tutto questo smentisce chi pensa che la fotografia sia fredda documentazione. L’immagine fotografica, come la poesia, può essere il modo con cui liberare le cose dalla riduzione del nostro sguardo distratto, per percepirle come segno di un Altro che le abita, portatrici di un significato profondo.

E così dopo aver sfogliato e risfogliato questa raccolta fotografica e contemplato con calma e silenzio le immagini, riecheggia la frase con cui Enzo Jannacci introduce uno dei suoi capolavori, la canzone Prete Liprando e il giudizio di Dio: «la dedichiamo a tutti – e sono tanti – che pur essendo testimoni di fatti importantissimi e determinanti dell’avvenire della civiltà, neanche se ne accorgono!».

Dopo aver tenuto questo libro fra le mani non possiamo più essere tra quelli che non si accorgono di vivere a un passo da un luogo unico, dove un popolo operoso e discreto rende fecondo il talento donato da Dio Padre, camminando con Cristo lavoratore e san Giuseppe. È ora di uscire, di andare a spasso in questa terra, immergendoci, seguendo quel filo invisibile che ci spinge a cercare un segno e ciò che da questo veicola.

(Introduzione a “Dove sei? Fotografie”, Ediz. Illustrata Edizioni della Meridiana, 2022)

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