Da circa vent’anni l’interdipendenza economica definita come globalizzazione ha costantemente reso manifesti i segni distintivi di tale globalizzazione in forme sempre meno totalizzanti e pervasive. Tutti gli studi strutturali dicono che le cosiddette catene del valore denominate supply chain si caratterizzano per frizioni e impedimenti regolativi in merito alle normazioni tecnologiche di standardizzazione sino a giungere a ostacoli tariffari prima inesistenti, e hanno attratto l’attenzione dei mass media e delle classi politiche mondiali più di quanto sarebbe stato necessario o meglio in forme che ne hanno distorto il vero significato.
Il fatto che la Wto sia stata sostanzialmente smontata e sgretolata dal protezionismo Usa e da quello Ue non solo non ha sollevato l’attenzione che questo processo storico meriterebbe, ma ne ha falsato l’interpretazione.
Tutto si è costruito analiticamente sul conflitto con la Cina e ora, dopo l’aggressione all’Ucraina, contro la Russia. E tutto si è innervato sul conflitto ideologico prima che sulle radici economico-strutturali che sono alla base invece della de-globalizzazione che si è di fatto scatenata prima con il Covid e ora con la guerra etnica causata dalla Russia nella nazione ucraina.
Si teorizza per il blocco logistico generato dai colli di bottiglia marittimi e terrestri e per quello ideologico monopolistico sotto forma di monopsonio (ossia di monopolio dell’offerta di prodotti idiosincratici come i microchip e le terre rare e altre componenti strategico-costruttive) che debba e possa esser superato non accorciando le catene e costruendo un’economia circolare ecologicamente sovradeterminata, ma invece creando catene di fornitura e addirittura blocchi o aree commerciali e manifatturieri ideologicamente determinati.
L’ideologia delle sanzioni dilaga e com’è sempre stato nella storia mondiale apre la via alle guerre. In fondo alla carneficina della Prima guerra mondiale e a quella della Seconda (sempre la stessa guerra, lo si ricordi bene) si è arrivati dopo la lenta ma inesorabile fine della politica del libero commercio internazionale. Libero commercio che fu tale perché una sola leadership dominava il mondo: il Regno Unito e la sua classe dirigente formatasi su Platone, Tito Livio e Senofonte e che aveva ai suoi ordini le coorti di economisti, tubisti, fonditori, ingegneri, ceramisti e navigatori cooptati secondo il modello romano.
Oggi siamo nel centro di un processo tutt’affatto diverso. Il Regno Unito di oggi, ossia gli Usa, non solo non ha più la leadership mondiale, ma fa di tutto per perderla e disperderla. La divisione, per esempio, tra potere legislativo e potere esecutivo sta esplodendo con il viaggio di Nancy Pelosi a Taiwan che ha scatenato la disperazione tra gli Stati che faticosamente il blocco più realista del capitalismo Usa aveva e ha costruito e che ancora costruirà con Giappone, Sud Corea, Australia e si spera quell’India che ha lo scettro del potere relativo di dissuasione e deterrenza sia in relazione alla Cina, sia in relazione alla Russia che il fanatismo dell’ala neo-wilsoniana intende invece distruggere portando il mondo di fatto sull’orlo della nuova guerra mondiale in continuità con le due precedentemente ricordate.
Non va sottovalutata la questione che la precedente operazione politico-ideologica dell’ala neo-wilsoniana impersonificata dalla Pelosi è stata la sua visita in Italia a fine giugno. Una sorta di pre-incoronazione come ambasciatrice presso una nazione come la nostra che da più di tre anni non ha un ambasciatore Usa. Un segno preclaro di diffidenza e di distanza che non è stato naturalmente colmato con la nomina di Mario Draghi a primo ministro. Questo per la scarsa affidabilità che i neo-wilsoniani rendono manifesta nei suoi confronti.
La nomina pelosiana a via Veneto trasformerebbe il periodo elettorale. Torneremmo agli anni pieni di scontri ideologici di Clare Boothe Luce? L’Italia potrebbe divenire non più la piattaforma naturale di mediazione tra mondi, ma la pista di lancio di una guerra tra mondi. Saremo fortunati se sarà solo economica e ideologica.
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