Caro direttore,
al termine di una frenetica settimana di baratti elettorali, il leader del Pd Enrico Letta ha trovato il tempo di scrivere un elzeviro sui 66 anni della tragedia di Marcinelle e di concedersi un’escursione-comizio in Belgio: Sulla prima del Corriere della Sera è sembrato contendere lo spazio a Walter Veltroni, che da tempo ha trovato la sua definitiva vocazione di manipolatore narrativo e mediatico della memoria italiana. Di cui certamente i minatori italiani morti in Belgio fanno parte e meriterebbero, per questo, di non finire riciclati nel bombing partitico di una campagna elettorale.
Ma per il Pd è un vizio d’origine: radicato nel mito Pci (ma non solo) della “Repubblica nata dalla Resistenza”. Quando nel 2007 il partito nacque, il suo primo leader – Veltroni – celebrò l’evento con un discorso che già nelle prime righe si appropriava del discorso “fondativo” dell’Italia contemporanea, pronunciato da Alcide De Gasperi alla conferenza di pace di Parigi del 1946. La Repubblica di De Gasperi c’è ancora, quella “dem” di Veltroni non è mai nata.
Quando il nuovo partito vede la luce è al potere da un anno: anche se la vittoria elettorale di Prodi 2 del 2006 è maturata sul filo controverso di poche migliaia di voti al Sud. Un anno dopo il “discorso del Lingotto” la maggioranza di centrosinistra collassa al suo interno e il voto anticipato registra una netta vittoria del centrodestra di Berlusconi 3. Veltroni si ritira dalla politica e si dedica a tempo pieno all’attività di cantore della memoria italiana, anzi: alla sua continua revisione in chiave di stretto politically correct.
Non c’è episodio macro o micro della vita quotidiana italiana – nell’influencing veltroniano – che non richiami un passato più o meno prossimo da cui ritorna la “lezione unica” di un’assoluta superiorità etico-politica: non c’è Italia al di fuori della “cultura dem” nelle sue 50 sfumature di verde, rosso, bianco. Tutto il resto è, resta “fascismo”: da negare e combattere. E questo è il “programma del partito”. Il “catalogo” dell’Ulivo, dell’Unione, del Governo Letta-Verdini, della democratura di Matteo Renzi, del ribaltone giallorosso di due presidenti della Repubblica rieletti è e resta questo, solo questo: anche nella campagna elettorale 2022.
Quindi: Marcinelle è una “nostra” tragedia. A dispetto – almeno – di qualche domanda: che il frontrunner del centrosinistra al voto del 25 settembre provoca, ma non riesce ad articolare in risposte effettivamente politiche.
“L’Italia di Marcinelle” era un’Italia misera e sconfitta. Merita certamente il rispetto e il ricordo commosso da parte degli italiani che sono venuti dopo. Ma non è un modello a tendere, un passato di cui essere fieri: non può essere “l’Italia che vogliamo”. È, al contrario, “l’Italia che non vogliamo più”: proprio per non tradire la memoria dei “caduti di Marcinelle”. Che a quell’Italia da cui dovettero partire per mancanza di lavoro e pane non fecero a tempo a voler bene. Dovremmo lasciare a loro – ma non è possibile – di giudicare l’Italia di oggi: ad esempio, quella che negli ultimi dieci anni è stata governata dal Pd – da Veltroni, Prodi e Letta passando per Matteo Renzi – che pure al voto politico ha sempre perso.
Non è stata neppure, quella di Marcinelle, l’Europa che è stata costruita dopo. L’Europa che ha voluto De Gasperi da vivo: assai più autentica, nel suo farsi, di quella che il “fuoriuscito” Letta ha raccontato da Parigi, in polemica con Renzi, il premier Pd che l’aveva sfrattato. Non è vero – come scrive Letta – che “italiani e belgi morirono assieme”. Gli italiani – sbarcati in Belgio per necessità – morirono perché erano sfruttati dai belgi, che allora in Africa sfruttavano ancora i congolesi. Eccetera.
Non è un giudizio, è un fatto. È invece un post-giudizio strumentale (storicamente e politicamente scorretto) utilizzare Marcinelle come bomb elettorale multiuso quanto trito: il lavoro, i migranti, il Sud, eccetera.
Un leader Pd che si ri-candida alla guida di un Paese del G7 – dopo esserne già stato premier – dovrebbe sentire il dovere di esporre agli italiani di oggi le sue idee e i suoi progetti per l’Italia di domani: da dove pensa di creare “pane e lavoro” in Italia e per l’Italia nel 2022. Come pensa di evitare i “caduti sul lavoro” che il Paese ha registrato da almeno due anni (ma di fatto dal 2008): e che rischiano di essere molto più numerosi se dopo il 25 settembre il Paese non avrà un Governo (cosa ben diversa da una “maggioranza elettorale”).
È Vladimir Putin che sta distruggendo il suo Paese e minacciando gli altri per l’ossessione di voler riportare la storia agli anni Cinquanta.
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