Donatella Hodo, 27enne morta suicida in carcere a Verona dopo avere inalato del gas dal fornelletto presente nella sua cella, è stata ricordata durante il suo funerale attraverso una lettera scritta dal giudice di Sorveglianza del tribunale scaligero, Vincenzo Semeraro. Una missiva che ha scosso le coscienze e nella quale il magistrato ammette di sentire di avere fallito. Parole forti, che il diretto interessato ha inteso approfondire ulteriormente sulle colonne del “Corriere della Sera”: “È da una settimana, da quando Donatella ha attuato il suo tragico gesto, che continuo a pormi mille interrogativi. Dove ho sbagliato, in che cosa? Ogni volta che una persona detenuta in carcere si toglie la vita, significa che tutto il sistema ha fallito. Nel caso di Donatella, io ero parte del sistema visto che seguivo il suo caso da sei anni. Quindi, come il sistema, anche il sottoscritto ha fallito”.
Semeraro, nel ripensare alla ragazza suicida in carcere, si domanda cosa avrebbe potuto fare di più per lei, come abbia fatto a non captare che il suo malessere era divenuto via via sempre più profondo. Alle spalle, Donatella Hodo aveva vicissitudini pesanti come macigni, ma, per ammissione dello stesso giudice di Sorveglianza, era fragile come un cristallo: “Quando sei magistrato dell’Esecuzione e gestisci le varie vicende carcerarie e detentive, non hai a che fare solo con un detenuto, ma innanzitutto con una persona. Uomini, donne con storie diverse. Non vanno trattati come numeri, come pedine di un ingranaggio, ma come individui differenti l’uno dall’altro. Sono persone, certo recluse in cella, ma pur sempre persone”.
27ENNE SUICIDA IN CARCERE, GIUDICE SEMERARO: “IL CARCERE NON È ADATTO ALLE DONNE”
Soltanto a marzo 2022, ha confessato ancora il giudice Semeraro al “Corriere della Sera”, Donatella Hodo aveva capito di potersi fidare di lui, in quanto aveva fatto in modo che uscisse dal carcere, dove pochi giorni fa è morta suicida: “Avevo fatto in modo che uscisse dalla prigione perché la cella non era il posto idoneo per lei – ha dichiarato il magistrato –. Purtroppo poi era scappata, tornando lì. A breve era in arrivo per lei una misura alternativa con affidamento terapeutico al Sert, doveva solo pazientare un po’. Purtroppo la sua fragilità ha preso il sopravvento nella solitudine”.
Ma perché quello non era il posto giusto per Donatella? “Lei aveva bisogno di un adeguato sostegno psicologico, un servizio di supporto che l’intero sistema non riesce a garantire non solo nel carcere di Verona, ma in tutti i penitenziari d’Italia. Le strutture detentive non sono a misura di donna, le detenute vanno approcciate in modo totalmente diverso, hanno un’emotività che non ha nulla a che fare con quella maschile. Vanno seguite in modo specifico e del tutto peculiare. Per Donatella ciò non è avvenuto”. Ed è morta suicida in carcere, nella sua cella, magari pensando anche al giudice Semeraro, che, per ammissione del padre della vittima, lei considerava come un secondo papà.