È possibile che i bambini accettino la morte meglio degli adulti? Il tema è dibattuto in diversi ambiti. Ad esempio, il medico ed editore Richard Smith lo ha fatto sul British Medical Journal, partendo da un presupposto: la morte di un figlio è per la maggior parte dei genitori la cosa peggiore che possa capitare loro, essendo contro l’ordine naturale la morte di un bambino prima di quella dei suoi genitori. M. R. Rajagopal, medico definito “il padre delle cure palliative in India” in onore del suo significativo contributo alla scena delle cure palliative in India, ha parlato con molti bambini che stanno morendo.
Nel suo libro “Walk with the Weary: Lessons in humanity in health care” ha scritto: “Paradossalmente, i bambini sembrano accettare l’incurabilità o la morte molto più facilmente degli adulti….I bambini hanno un’incredibile capacità di recupero. Nella mia esperienza, riescono a elaborare le cattive notizie molto più facilmente degli adulti“. Inoltre, dalla sua esperienza ha appreso che i bambini in fin di vita di solito sapevano che stavano morendo anche se i genitori non glielo avevano detto.
“BAMBINI NON VOGLIONO LEZIONI…”
I medici hanno anche scoperto che i bambini, anche se accettano la morte più degli adulti, hanno molte paure irrazionali, però facilmente dissipabili. Ad esempio, un paziente di M. R. Rajagopal temeva di soffocare quando sarebbe stato sepolto. Il medico gli spiegò che non avrebbe avuto alcun disagio da morto e il bambino non gli fece altre domande. “I bambini hanno tempi di attenzione brevi. Non vogliono lezioni; fanno domande dirette e vogliono risposte dirette. Questo è sufficiente a rassicurarli. Bisogna dare loro l’opportunità di porre queste domande intense, e a volte profonde. Senza risposte oneste, la loro miseria e la loro solitudine non possono essere immaginate da me o da voi“, ha dichiarato il medico indiano. “Ci sono poche cose nella vita più difficili che parlare onestamente della morte con un bambino che sta morendo, e la conversazione può essere evitata non per il bene del bambino ma per il bene dell’adulto“, ha concluso Richard Smith.