La domanda è tanto semplice, quanto – almeno per il sottoscritto – inquietante. Perché Mario Draghi non smentisce Carlo Calenda? Come avrete notato, il presidente del Consiglio facente funzioni per gli affari correnti è sparito dalla vita pubblica e da quella dei media. Giusto così, una sacrosanta scelta di totale isolamento dalla campagna elettorale. D’altronde, l’ex numero uno della Bce è stato chiaro: nessun ritorno a palazzo Chigi ma solo dai nipotini. Il 26 settembre, la sua esperienza politica va considerata chiusa.
Ora, al netto di voler o meno credere a questa narrativa, viviamo lo strano paradosso di un partito – Azione – che sta basando la sua funambolica parabola politica sull’assunto in base al quale la propria affermazione sarebbe invece garanzia proprio del ritorno a palazzo Chigi di Mario Draghi. E attenzione, nessuna mezza frase o concetto volutamente opaco: Carlo Calenda lo dice chiaro e tondo, ovunque. Votare Terzo Polo significa votare per un Draghi-bis. Perché il diretto interessato non sente il bisogno di smentirlo? E non dico intervenendo con una conferenza stampa o un’intervista ad hoc, basterebbe un comunicato stampa ufficiale della presidenza del Consiglio. Asettico ma rituale e ufficiale a tal punto da chiarire una volta per tutte la situazione e l’indisponibilità del diretto interessato.
E non perché quanto stia accadendo sia motivo di disturbo per il sottoscritto, quanto perché si configura come pubblicità ingannevole. E, di fatto, turbativa del processo elettorale e democratico. Insomma, i Servizi possono smettere di cercare fantomatiche interferenze russe nel voto: basta seguire uno dei talk-show estivi in onda per scoprire che qualcuno sta mettendo al fuoco carne avariata da distribuire all’elettorato.
Le spiegazioni del silenzio di palazzo Chigi sono solo due. Primo, Mario Draghi ritiene Carlo Calenda un mitomane bisognoso di aiuto e sostegno, quindi lo tratta come certi ragazzini che fanno di tutto per farsi notare. Ignorandolo. Secondo, Mario Draghi in cuor suo sa che un ritorno a palazzo Chigi non è affatto impossibile e lascia fare, evitando proprio per questo di lasciare impronte digitali in giro e lasciando che sia il duo Calenda-Renzi a fare il lavoro sporco en plein air. Spiacente ma tertium non datur. E se la prima ipotesi può apparire la più probabile intuitivamente, quantomeno dopo aver sentito parlare anche solo per dieci minuti il leader di Azione, temo che sia la seconda quella cui prestare maggior attenzione. E che apre scenari decisamente sgradevoli: perché mentre tutti temono interferenze del Cremlino, stiamo silenziosamente assistendo a quelle da protettorato de facto di Bruxelles sul voto del 25 settembre.
Certo, la Russia è il nemico e l’Ue invece il nostro fulgido faro nella nebbia. O, quantomeno, il bancomat che ci mantiene in vita. Ma resta il fatto che la seconda fase dell’operazione Draghi-bis, a mio avviso, ha decisamente varcato il limite della decenza. Perché quando Carlo Calenda dichiara con grande leggerezza d’animo che chiunque dei due poli vinca le elezioni appare comunque destinato a cadere dopo sei mesi, spalancando le porte all’unica ipotesi percorribile di un nuovo Governo di unità nazionale, di fatto si macchia di apologia dell’ostruzionismo e dell’ingovernabilità. Legittimo in punta di diritto. Ma politicamente rivoltante. Perché come certe squadrette di provincia alla ricerca del punto per salvarsi contro la grande, Calenda e Renzi pensano solo a sabotare il voto e rendere il Paese paralizzato. Nel pieno di una crisi energetica senza precedenti, con il debito pubblico che ha appena sfondato il record storico e con la Bce che, di fatto, ci tiene in ostaggio, pronta a staccare il respiratore del reinvestimento titoli e spedire il nostro spread in area Mes. Anzi, scusate, Tpi, lo scudo anti-spread. Che è un Mes mascherato e senza un minimo di appeal politico. Questa non è palese turbativa del processo elettorale, a casa vostra?
Certo, le panzane sugli hacker russi fanno vendere più copie ai giornali, ma l’inglorioso silenzio in cui è precipitato dopo solo 24 ore il presunto scoop della Stampa sulle pressioni del Cremlino in casa Lega per far cadere Draghi dovrebbe farvi capire il livello di disperazione raggiunto anche dalle parti del civico 121 di via Vittorio Veneto. E signori, attenzione ai segnali che arrivano anche da casa nostra. Uno dei quotidiani preferiti dai pasdaran del Governo dei Migliori, ovvero MilanoFinanza, ieri titolava così. Gas senza alternative. Decisamente ultimativo.
Vi invito ad andare a rivedere come il medesimo giornale trattava le questue di gas naturale in giro per il mondo di Mario Draghi e Luigi Di Maio. Praticamente, la scoperta dell’El Dorado energetico, la risoluzione di ogni criticità, la prova provata che quando a palazzo Chigi c’è un illuminato pragmatico e riformista, la dipendenza dal Cremlino può essere superata in tempi record. Abbiamo il GNL statunitense, l’Algeria e l’Angola. Oltre a quel fornellino da campeggio del TAP. Balle. E ora che si avvicina a grandi passi non solo il voto ma anche la stagione dei caloriferi accessi e delle fabbriche a pieno regime energivoro, ecco che MilanoFinanza mette le mani avanti e ammette che senza Gazprom sarà un inverno complicato. Molto complicato.
D’altronde viviamo in un mondo dove banchieri centrali, economisti con più master che capelli in testa e analisti in bretelle non si sono accorti della presenza nella stanza dell’elefante inflattivo fino a quando questo non ha deciso di barrirgli in un orecchio. Volete quindi che qualcuno vi chieda scusa per le fregnacce scritte fino all’altro giorno sul caro-energia? No, semplicemente ora partirà l’8 settembre dei Migliori, la discesa dal carro dell’ex vincitore per non dover rendere conto della tempesta perfetta che è ormai alle porte. E che nemmeno Repubblica riesce più a negare o imputare totalmente al Cremlino o al Fattore M.
Capite perché, in contesto simile e con un esercito di Badoglio alla ricerca di un rifugio, sia esiziale avere una risposta chiara, netta e precisa alle promesse di Carlo Calenda e del Terzo polo per un Draghi-bis? Perché altrimenti, qualcuno potrebbe davvero pensare a una regia nemmeno troppo occulta di Bruxelles, spaventata come non mai – mi dicono sottovoce da lassù – dalla mossa del cavallo ispirata da Guido Crosetto di gettare sul tavolo della campagna elettorale la carta della revisione del Pnrr. Ovvero, il disvelamento agli occhi degli italiani della natura di prestito oneroso di quei miliardi che per trimestri ci sono stati falsamente descritti come regali dell’Europa buona e comprensiva.
Se davvero siamo nel pieno di una campagna eterodiretta dall’Ue, va benissimo. Ormai dovremmo esserci abituati. Ma almeno, evitiamo di spendere soldi per le elezioni del 25 settembre. Annulliamole. Perché tanto ci penserà la crisi energetica a presentare il conto.
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