L’Italia continua a stupire e a confermare questa inconsueta abitudine è Eurostat attraverso i dati preliminari (stima flash) pubblicati mercoledì dove si evidenzia come il Pil del Bel Paese sia superiore a quello della media Ue: nel secondo trimestre dell’anno, infatti, il valore nostrano è salito dell’1% congiunturale rispetto allo 0,6% dell’Unione europea. Una rilevazione estiva molto positiva che fa seguito alle precedenti già diffuse in diverse sedi.
A celare, però, ancora insicurezza tra gli osservatori è il destino che accomuna l’intero Vecchio continente sul versante dell’inflazione. Quest’ultima, di fatto, rappresenta (e rappresenterà) una persistente incognita (purtroppo negativa) sia nel breve che nel medio termine. A riprova di questo acquisito status quo giunge il dato relativo alla Gran Bretagna: tasso di inflazione a doppia cifra (10,1%) quello registrato a giugno ovvero il valore più alto degli ultimi quarant’anni. Ma questo non basta poiché, in molti, sono convinti di poter assistere a ulteriori rialzi tra la fine dell’anno e l’inizio del 2023.
E l’Italia? Consultando la recente “Nota mensile sull’andamento dell’economia italiana” si può apprendere un palese sconforto da parte di Istat: «A luglio sono emersi i primi segnali di raffreddamento delle pressioni sui prezzi, ma l’inflazione acquisita per l’anno in corso continua ad aumentare». Inoltre, in tema di “prezzi”, si riscontra come «incertezza e cautela continuano a caratterizzare anche a luglio le aspettative di consumatori e imprese circa l’evoluzione dell’inflazione. La media delle attese di coloro che si aspettano un incremento dei prezzi nei prossimi mesi è salita leggermente (28,6 a luglio da 27,5 di giugno). Tra gli imprenditori che producono beni destinati al consumo finale prevalgono coloro che prevedono ribassi dei propri listini di vendita».
Un pessimismo per il futuro che, doveroso ricordarlo, ha trovato un’esplicita rassegnazione nella parole iniziali del consueto Commento al dato sull’inflazione di luglio: «Il rallentamento dei prezzi dei beni energetici che si registra a luglio non frena l’onda lunga delle tensioni inflazionistiche che si stanno diffondendo agli altri comparti merceologici. Infatti, la crescita dei prezzi degli Alimentari lavorati, dei Beni durevoli e non, dei Servizi relativi ai trasporti e dei Servizi vari accelera, spingendo l’inflazione al netto degli energetici e degli alimentari freschi (componente di fondo; +4,1%) e quella al netto dei soli beni energetici (+4,7%) a livelli che non si vedevano, rispettivamente, da giugno e maggio 1996. In questo quadro accelera anche la crescita dei prezzi del cosiddetto “carrello della spesa”, che si porta a +9,1%, registrando un aumento che non si osservava da settembre 1984».
Quando l’Italia potrà intravvedere la luce in fondo a questo lungo (forse interminabile) tunnel? Come nostra consuetudine, anche questa volta, per meglio inquadrare e circoscrivere il problema abbiamo fatto ricorso ai soli numeri.
Prendendo come riferimento la serie storica dell’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC), e congelando l’attuale situazione geopolitica internazionale, per i prossimi mesi è possibile individuare la seguente dinamica: un incremento complessivo compreso tra lo 0,8% e l’1,4% riconducibile al periodo settembre-ottobre-novembre.
Al termine di anno, invece, nei mesi di dicembre e gennaio un ulteriore potenziale rialzo di entità non superiore all’1,1% per, successivamente, registrare una prima fase di lateralità con iniziale (seppur lieve) tendenza ribassista a partire dalla conclusione del prossimo febbraio.
Una prima verifica, pertanto, potremmo averla già nell’ultimo trimestre dell’anno in corso e, qualora l’ammontare dell’entità ipotizzata fosse rispettata, con buone probabilità, è plausibile auspicare una successiva decelerazione con conseguente ridimensionamento dell’inflazione italiana all’inizio della primavera 2023.
Nonostante si possa assistere a questo positivo scenario, quanto caratterizzerà (in negativo) le sorti degli italiani nei prossimi mesi sarà il costo del cosiddetto “carrello della spesa”. Purtroppo, in base alle attuali condizioni di mercato e alle prospettive di brevissimo termine, le sorti del quotidiano spendere sono viste in significativo peggioramento. Un peso per le nostre tasche che, al ritorno dalle vacanze, vedrà un sempre più inarrivabile e lontano (economicamente parlando) Natale.
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