Il più incisivo è stato, con una lettera al direttore della Stampa, Renato Brunetta: per combattere il caro energia, ha scritto in sintesi, ci vuole un nuovo Whatever it takes, rilanciando così la frase ormai celeberrima con la quale Mario Draghi, allora alla guida della Bce, sconfisse la speculazione contro l’euro, salvando l’Unione da un possibile disfacimento.
Ora dal possibile disfacimento occorre salvare l’apparato industriale dell’Italia (e dell’Europa), minacciato da una bolletta energetica insostenibile per i grandi e per i piccoli. L’ordine di grandezza del disastro li ha dati il past president di Confindustria e presidente della Luiss, Vincenzo Boccia, in un’intervista al Mattino: occorre mettere sul piatto almeno 60 miliardi.
Quattro Confindustrie regionali del Nord e otto del Sud – in due diversi documenti – confermano che se non s’interviene presto e con risorse adeguate si rischia la crisi sociale. Il distretto delle piastrelle di Sassuolo, che l’energia la divora, dichiara uno stato prefallimentare. Si moltiplicano le richieste di cassa integrazione.
Il vicepresidente di Federdistribuzione, Giorgio Santambrogio, spiega al Sole 24 Ore che la grande distribuzione si vede costretta a trasferire sui prezzi delle merci i rincari subiti alla fonte. Il potere d’acquisto degli italiani si assottiglia e già si assiste a uno spostamento dei consumi verso il basso.
Dovunque si volga lo sguardo o si porga l’orecchio questa crisi fa più paura delle altre. Quella pandemica è ormai relegata ai margini delle preoccupazioni. La guerra, purtroppo ancora presente, fa sempre meno impressione. Quello che tormenta produttori e consumatori è la chiara percezione di non farcela ad arrivare alla fine del mese, ciascuno alle prese con le sue pene.
Il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, intensifica le sue apparizioni su quotidiani radio e tivù. Lo sforzo dei suoi associati è al limite della sopportazione. Il prezzo del gas è cresciuto di dieci volte in un anno, ma il conto da pagare – mostra le sue bollette Cosimo Rummo, tra i maggiori produttori di pasta del Paese – arriva fino a venti volte di più nel volgere di un anno.
Il senso d’urgenza si fa pressante: “L’emergenza energetica è il primo punto essenziale per la nostra sopravvivenza – ammonisce ancora Boccia -: ecco perché occorre agire immediatamente”. Il messaggio è chiaro: se non sciogliamo questo nodo sarà inutile affrontare tutti gli altri perché non ce ne sarà occasione. La politica coglie l’allarme e comincia a spaventarsi.
Come reagire? Ci vorrebbe una risposta europea ed è convocato un Consiglio per studiare il da farsi. Ma gli interessi sono diversificati e sarà difficile trovare una quadra comune. Fare altro debito nazionale, anche se buono, potrebbe rivelarsi un boomerang, anche considerando l’aumento dei tassi d’interesse e quindi il costo da pagare in seguito per restituirlo.
La patata bollente è nelle mani di Mario Draghi che, per quanto capaci, sono pur sempre le mani di un premier sfiduciato in attesa di lasciare il timone ai partiti che si contendono la guida del Paese. Ma attendere la formazione del nuovo governo può rivelarsi fatale. Tutto questo tempo non c’è per trovare soluzioni che richiedono una tempestività alla quali non siamo abituati.
Nel medio e lungo termine, certo, si dovrà lavorare per diversificare gli approvvigionamenti oggi non più assicurati dalla Russia e accelerare sulle fonti rinnovabili superando gli ostacoli della burocrazia e di un vecchio ambientalismo in parte responsabile dei ritardi che oggi scontiamo. Anche l’America dovrà fare la sua parte, abbassando il costo delle forniture.
La partita è così grossa che andrebbe giocata con lo strumento di un nuovo piano generale, un Next Generation 2 – Brunetta ne parla esplicitamente – improntato a vincere la sfida più difficile che abbiamo davanti. Per contrastare gli effetti di una guerra che mira a distruggere il nostro apparato industriale, a gettarci nella povertà, occorre ricorrere a rimedi straordinari. E l’agenda si ferma qui.
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