Una storia tremenda arriva da Roma. Una ragazza di 14 anni e un ragazzo di 17 si ritrovano al centro di una vicenda ambigua su cui il pm Carlo Morra sta cercando di far luce. Una relazione nata lo scorso anno e diventata, già a settembre, intimità sessuale. Un’intimità che ha preso campo e che ha fatto saltare rapidamente tutti i confini: tra i due si sarebbe insinuata una spirale di violenza con rapporti sempre più truci e dinamiche relazionali segnate dal ricatto e da un terzo protagonista, silenzioso ma ingombrante, che è il mondo dei social. L’ossessione per riprendere tutto e condividere si è sommata all’uso non chiaro delle password, a identità digitali che si confondevano sempre più con quelle reali fino a scambiarsi e a non distinguersi.
I carabinieri sono certi che sia stato lui a perdere il controllo ad un certo punto: calci, pugni, minacce con mozziconi di sigaretta accesa fino alla gravidanza di lei. Lei che allora ricorre all’aborto, lui che non vuole, le strade che si separano provvisoriamente. E poi il degrado che divampa di nuovo: un rapporto sessuale avvenuto come uno stupro sotto uno dei ponti del Tevere, la seconda gravidanza, le azioni di stalking da parte di lui sulla vita di lei. Si arriva al 30 luglio scorso con lei che va dai carabinieri e denuncia, e lui che viene arrestato. E tutto, ancora una volta, sui social: dallo stupro alla resa dei conti, ogni cosa sempre in onda, “live”, sotto i riflettori.
Adesso spetta alla magistratura venire a capo delle responsabilità dei singoli, delle azioni riconducibili ad un contesto spersonalizzante e gretto e di quelle, invece, lucide e senza attenuanti. Il fatto inquietante, è evidente, sta anzitutto nell’età dei due ragazzi, nell’assenza di figure adulte capaci di intervenire nella questione e nel ruolo giocato dai social. Ma su tutto ci sono tre elementi che meritano la nostra attenzione.
In primis il nulla che fa da sfondo alle vite di questi ragazzi. Non c’è niente attorno a loro, niente che faccia da barriera, niente che possa rappresentare un contesto di riferimento. Nel nulla, e questo è il secondo elemento, che cosa resta? La volontà assoluta dei singoli. Il dramma del nulla non è il nulla in sé, quanto che niente può fermare l’esercizio della volontà dell’io. Ciascuno di noi può vederlo nella vita di tutti i giorni: quando la volontà è sovrana, ogni cosa che osi fermarla, che introduca nel nulla l’esperienza di un argine – e quindi, in ultima battuta, l’esperienza del dolore – è vissuta come una minaccia all’autodeterminazione dei singoli, come un attentato alla libertà. In questo modo si vive in una sconfinata volontà di potenza, in cui ogni “no” è vissuto come un giudizio negativo sulla persona, una condanna all’infelicità.
Se uno cresce senza argini, senza “no”, se uno non ha una disciplina – che poi non è altro che una forma ordinata di contatto col dolore – si sente onnipotente e manifesta violenza ogni qual volta un qualunque fattore dell’esistenza minacci il potere assoluto che egli ritiene debba spettargli di diritto. Questi due ragazzi sono state vittime del nichilismo, vittime di una volontà abbandonata a se stessa, vittime di una libertà che è una forma mascherata di schiavitù.
I social, terzo elemento da considerare, non sono il problema, ma l’amplificatore. Essi amplificano il vuoto in cui viviamo: il ruolo del virtuale è proprio quello di ampliare il vuoto, di abitare il vuoto con un costrutto tecnico che si rende irrinunciabile. Essi spengono la nostalgia della presenza dell’altro a vantaggio della sovraesposizione della mia presenza. I social dicono al mondo “guardatemi, ci sono!” al punto che se tu non mi guardi io non ci sono.
Davvero sembra che la punizione più grande, per i due ragazzi, sia stata la confisca dei cellulari e la loro alienazione dalle reti virtuali. È così duro abitare la realtà, per chi vuole imporre la propria volontà agli altri, che solo il mondo virtuale sembra poter adattarsi a questa esibizione di violenza, a questa forza del nulla.
Siamo di fronte ad una vicenda terribile, una vicenda che – tuttavia – presenta un elemento strano, assurdo: la presenza delle due gravidanze. Sembra un dettaglio, un macabro imprevisto che rende la storia ancor più straziante. Ma se fosse altro? Se in questa storia la presenza di quelle vite offrisse una possibilità diversa di lettura e di ripartenza? Se quello che sembra più illogico e antitetico, in fondo, accadesse per ridestare in noi il nostro essere umani? Sembra impossibile, eppur si muove.
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