Dipende tutto da oggi. Paradossalmente, una pessima notizia. Perché la reazione cauta dei mercati all’aumento di 75 punti base del costo del denaro da parte della Bce non può e non deve essere messa in relazione unicamente alla prezzatura preventiva che settimane di indiscrezioni avevano di fatto lasciato sedimentare.
C’è qualcosa di più. E di più serio. La consapevolezza che la questione energetica può dar vita alla proverbiale valanga generata dalla palla di neve che rotola a valle. E può farlo con velocità siderale rispetto anche a un aumento drastico dei tassi come quello appena deciso da Francoforte. Il cui board è stato chiaro: l’inflazione è troppo alta, occorreva agire. E per i prossimi meeting occorre attendersi ulteriori interventi.
Insomma, si cerca il tasso neutrale. O, almeno, questa è la favoletta rassicurante che l’Eurotower vuole vendere ai mercati. I quali, però, sanno che tutto dipende dal vertice europeo sull’energia in programma oggi. Quindi, stand-by. Nonostante un dato che dovrebbe far riflettere. E molto.
Nel suo comunicato, la Bce ha reso note le revisioni delle proiezioni inflazionistiche per l’eurozona. Una dichiarazione di fallimento degna di Lehman Brothers. Ma ovviamente, nessuno pagherà. E nessuno si dimetterà. Per l’anno in corso, infatti, la stima è salita dal 6,8% all’attuale 8,1%. Per il 2023 si è giocoforza passati dal 3,5% al 5,5%, mentre per il 2024 dal 2,1% al 2,3%. Tradotto, per altri 18 mesi circa la zona euro vivrà con i prezzi e le loro dinamiche in palese overshooting rispetto alla quota obiettivo – per quanto divenuta flessibile con la revisione della guidance del luglio 2021 – del 2%. Altro che transitorietà, insomma.
E che dire dell’altra presa d’atto, ovvero il fatto che la Bce abbia dovuto confermare come l’economia dell’eurozona sia in considerevole rallentamento? Ovviamente, tutti pensavano che la questione energetica fosse facilmente e rapidamente risolvibile con le sanzioni. Tutti speravano che in poche settimane la Russia avrebbe dichiarato default e si sarebbe arresa. Tutti pensavano che il gas non avrebbe mai visto i 340 euro per MWh che ha toccato solo due settimane fa. Tutti calcoli sbagliati. La Russia non è in default. Il rublo non ha seguito la traiettoria della lira turca. E il gas è alle stelle.
E attenzione, perché paradossalmente ciò che di importante sta nel messaggio inviato dalla Bce è proprio un tacito e implicito volersi chiamare fuori da eventuali tracolli della situazione macro. Come dire, noi abbiamo fatto ciò che dovevamo fare contro l’inflazione, smettendo di inseguire ricette di politica monetaria dadaiste e fingendo di non continuare a gonfiare comunque la bolla attraverso il reinvestimento di titoli a tutela degli spread.
Ma il problema, l’hot spot sta altrove. Ovvero, ad Amsterdam. Dove ieri il contratto futures sul gas europeo si è stabilizzato in area 199 euro per MWh: di fatto, trovando il suo bottom proprio sulla quota che la Commissione Ue ritiene accettabile da imporre come tetto del prezzo. Ovvero, 200 euro per MWh. Insomma, il mercato sta settandosi sulle promesse della politica. E in un campo realmente esiziale, ben più di un aumento dei tassi che, in caso di esplosione di fenomeni recessivi come insolvenze di massa delle utilities, verrebbe ribaltato e tramutato in taglio nell’arco di due riunioni.
Se invece si rompe la dinamica consolidata di un gas sempre disponibile e al prezzo più che accettabile di 30 euro per MWH, come era solo un anno e mezzo fa con Gazprom, ecco che salta tutto. Perché se l’Ue davvero rompe del tutto con Mosca, applicando il price cap, poi il mercato subirà lo shock maggiore: ovvero, la necessità di prezzare e incorporare nelle valutazioni la presenza o meno di alternative reali a Mosca. Dal periodo ipotetico si passa alla dura realtà. Guardate questo grafico.
Prodotto del centro studi di Credit Suisse, parla molto chiaro: ci mostra la dipendenza dell’economia tedesca dalle materie prime. Di fatto, è esemplificativo del grado di leverage che il prezzo del gas opera sulla produzione industriale della locomotiva europea. Bene, a fronte di 2 trilioni di valore aggiunto abbiamo soli 20 miliardi di controvalore in gas russo a operare da interruttore. Insomma, Berlino è ostaggio di Gazprom in base a un leverage di 1:100. Capito perché 75 punti base di aumento dei tassi sono stati vissuti dal mercato come un atto assolutamente rituale, quasi si trattasse dell’accensione delle luci natalizie per il giorno di Sant’Ambrogio?
Dipende tutto da oggi. E attenzione, perché se qualcosa venisse mal prezzato dal mercato in sede di vertice Ue, allora sì che la mossa della Bce potrebbe divenire accelerante dell’incendio doloso creato sul fronte energetico. Perché nel mondo in cui l’Europa dovrà scendere a patti con una nuova realtà di importazioni energetiche tutte da inventarsi e da pagare in dollari, di fatto indebitandosi o tornando a stampare, come si concilierebbe una politica monetaria di rialzo dei tassi?
Ecco il vero rischio: il fatto che la Bce non abbia più nessun tipo di controllo sulle dinamiche inflattive, garantendo al Cremlino una doppia arma: una depressione economica da prezzi unita a un collasso monetario, perché chiaramente l’euro non potrebbe che indebolirsi in maniera drammatica.
Dipende tutto da oggi. La Bce ha soltanto apparecchiato la tavola, lasciando che siano altri a preoccuparsi delle pietanze. Il problema è che, al netto di tutto, l’unica indicazione indipendente da variabili esterne che l’Eurotower ha offerto è sconcertante. L’inflazione resterà oltre il doppio del target per tutto il 2023: se servisse stimolare un’economia in guerra, quali Paesi resisteranno allo shock sui conti e quanti entreranno in spirale di crisi?
Non a caso, solo mercoledì la Commissione Ue ha chiesto all’Italia di ratificare subito la riforma del Mes, ad oggi ancora in attesa di voto dell’Aula. Strano tempismo. Strana fretta. Anzi, in realtà, assolutamente strategici.
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