Mio nonno materno ha fatto la campagna di Russia. E dalla Russia è tornato vivo. Ma senza più le dita dei piedi. Congelate. Le scarpe nuove doveva farle portare da mio zio, fino a quando non si sformavano a dovere. Non parlava mai della guerra. In compenso, il 4 novembre si metteva il vestito buono. Per il resto, silenzio. Non l’ho mai conosciuto, è morto troppo presto. Ma i racconti su di lui sono tutti univoci in tal senso: quella guerra che non lo aveva ucciso fisicamente, lo aveva comunque ammazzato dentro. Attenzione, quindi, a credere alla falsa narrativa di Mosca in difficoltà e di Kiev che grazie alle armi occidentali sta riconquistando posizioni e città: quando i russi vanno in ritirata ma non perdendo nemmeno un uomo sul campo, è pessimo segnale. Ne sa qualcosa Napoleone Bonaparte, un altro che ha pagato caro la pretesa di conoscere la Russia. E non è un caso che sia stato un francese l’unico a cogliere la gravità del momento: Emmanuel Macron domenica ha telefonato per l’ennesima volta a Vladimir Putin, chiedendogli rassicurazioni sulla centrale nucleare contesa e sulla possibilità di una bozza di cessate-il-fuoco che possa dar vita a un primo tavolo negoziale. Apertura sul primo punto attraverso una mediazione condivisa dell’Aiea, chiusura totale sul secondo. Anzi, al riguardo il Cremlino è stato chiaro: smettetela di fornire armi a Kiev.
Ma come si fa, quando uno dei due quotidiani più importanti del Paese domenica presentava una prima pagina simile, corredata da peana di vario grado e genere sulla bontà della strategia di fornitura di armamenti? Disfatta russa. Conoscete l’etimologia del termine disfatta?
Ma attenzione, in tal senso. Per l’esattezza attenzione a questo, ovvero un’altra copertina molto assertiva del quotidiano diretto da Maurizio Molinari. Era il 30 maggio 2022. Temo che la cantonata in arrivo sia di pari livello. Il problema sta nelle conseguenze di un’errata e tutta ideologica valutazione di quanto sta accadendo.
In realtà, le due dinamiche hanno molto più a che fare di quanto non si pensi. Come sapete, il famoso tetto al prezzo del gas che i Nostradamus di Repubblica davano per certo a fine maggio non è nato nemmeno al vertice dei ministri dell’Energia Ue di venerdì scorso. Se ne riparlerà a quello dei capi di Stato e di governo del 6 ottobre. Insomma, c’è tempo. Ma cosa ci dice questo ennesimo rinvio, figlio dei veti incrociati e dei no condizionati di almeno una decina di Paesi, fra cui Austria e Germania?Che il cosiddetto price cap è misura tanto efficace in teoria quanto a forte rischio di effetto collaterale avverso in pratica. Inutile negarlo: il discrimine legato alla valutazione fissata per il cap e quello rispetto ai destinatari della misura è tale da configurarsi come potenziale punto di rottura finale e senza ritorno nei rapporti europei con Mosca. Perché fissare un tetto troppo basso, alla luce della natura esiziale delle entrate fiscali legate all’export energetico, rappresenterebbe la madre di tutte le sanzioni e obbligherebbe la Russia non solo a misure ritorsive pericolosamente asimmetriche ma anche a deviare totalmente il suo asse di riferimento commerciale, chiudendo per sempre con il suo mercato di naturale sbocco: ovvero, proprio l’Europa. Di converso, un cap troppo alto farebbe il solletico al surplus commerciale russo, vanificando il proposito punitivo e sanzionatorio.
Ed ecco un primo indizio di volontà di trattativa a oltranza, ancorché sotterranea e ufficialmente negata. Perché arrivare al tavolo con una proposta di 200 euro per MWh come quella avanzata dalla presidenza ceca equivale garantire a Gazprom una valutazione che è otto volte quella media per MWh del 2021. Certo, molto più bassa dei 340 euro MWh raggiunti due settimane fa in punta di mera speculazione, ma comunque insostenibile già sul medio periodo per moltissime aziende. C’è poi la questione della platea cui applicare il tetto sul prezzo. Se utilizzata solo per il gas russo, rischia di spingere Mosca con le spalle al muro e innescare una reazione di rappresaglia che, alla luce di Nord Stream 1 già chiuso, potrebbe pericolosamente travalicare l’aspetto diplomatico-commerciale per esondare verso quello della deterrenza bellica. Se invece imposto a tutti gli esportatori di metano, ecco che soggetti come la Norvegia potrebbero seguire la strada giocoforza imboccata da Mosca e mettersi a fare concorrenza al gas russo verso altri mercati come quello cinese o indiano. Quantomeno, a scopo intimidatorio.
Insomma, una bella idea sulla carta. Ma decisamente da maneggiare con cura. Ma attenzione, perché in molti hanno fatto notare come, nonostante il fallimento de facto del vertice, il prezzo del gas ad Amsterdam sia rimasto pressoché immobile in area 200 MWh. Perché? Perché a differenza della politica che deve dissimulare, il mercato sa che 200 euro MWh di price cap è in realtà altissimo come prezzo da pagare al compromesso. Quindi, ovviamente, ha fissato l’implicita asticella dei contratti proprio su quel livello, di fatto generando un bottom che – questo sì – sarebbe pericoloso a questo punto sfidare al ribasso. Insomma, nonostante le apparenze, il vertice di venerdì scorso ha rappresentato in realtà un ramoscello d’ulivo verso Mosca. Immediatamente vanificato dalla controffensiva ucraina, garantita dalle armi di ultima generazione giunte dagli Usa e dagli stessi Paesi che a Bruxelles cercavano di dissimulare la loro volontà di non tagliare i ponti del tutto con Gazprom. Per questo Emmanuel Macron ha chiamato immediatamente il Cremlino: perché Vladimir Putin è pericolosamente stanco della situazione. E potrebbe optare per un drastico cambio di passo. Stile Cecenia. O forse peggio. Perché le casse di Mosca sono piene, a differenza delle profezie di Repubblica e soci sul default e sul rublo ridotto a carta straccia. E perché dall’altra parte appare chiaro come Kiev lavori su diretto mandato di Washington, seguendone pedissequamente il playbook geopolitico che prevede guerra di logoramento su cui costruire politiche monetarie.
Il conflitto in Ucraina è appena entrato nella sua fase più pericolosa in assoluto. Pensate che papa Francesco abbia scomodato una figura raggelante come quella della Terza guerra mondiale totale solo per spaventare un po’ le masse? O perché, a differenza di molti, è ben conscio del campo minato in cui siamo appena entrati?
E attenti anche nel valutare le conseguenze quotidiane del new normal bellico: sapete, ad esempio, che i flussi dell’energia delle vostre case verranno non più solo controllati ma anche limitati nei KWh disponibili da remoto e che questo inverno difficilmente potrete utilizzare due elettrodomestici in contemporanea, almeno nelle fasce centrali e di picco? Non ci credete? Male. Perché sono le linee guida del piano Ue di razionamento e risparmio energetico, quello destinato a tagliare i consumi del 10%. Come riportate da quella stessa Repubblica che festeggiava la controffensiva ucraina come un nuovo 25 aprile. Casualmente, però, con meno enfasi. E visibilità tipografica.
Per chi abita a Milano, la riprova è questione di giorni: incaricati di Unareti stanno infatti già montando su tutti i contatori uno smart inverter, controllate gli avvisi in portineria. Attenzione, perché per i russi l’inverno non è solo un alleato. È un fratello.
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