Primo faccia a faccia tra il presidente russo Vladimir Putin e il leader cinese Xi Jinping dopo due anni circa. I due infatti – a parte la visita il 4 febbraio scorso in occasione dell’apertura dei Giochi invernali di Pechino – non si incontravano di persona da prima della pandemia, ma, hanno tenuto a precisare, “ci siamo sempre tenuti in contatto telefonicamente”. L’incontro è avvenuto in un luogo che suscita fantasie esotiche, Samarcanda, dove si tiene il vertice dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (Sco), nato dallo Shanghai Five, fondato nel 1996 da Cina, Russia, Tagikistan, Kazakistan e Kirghizistan, ampliato nel 2001 con l’ingresso dell’Uzbekistan. Nel 2017 sono entrati a far parte dello Sco anche India e Pakistan, due Paesi che in realtà hanno forti rapporti economici e militari con gli Stati Uniti, ma soprattutto ha fatto richiesta di entrarvi l’Iran, che infatti è presente a Samarcanda. Mettendo insieme tutto questo, viene spontaneo pensare alla nascita di un autentico “fronte anti-occidentale”.
Secondo il generale Marco Bertolini, già comandante del Comando operativo di vertice interforze e della Brigata Folgore in numerosi teatri di guerra, dalla Somalia al Kosovo e all’Afghanistan, come ci ha detto in questa intervista, “non si può parlare di una organizzazione paragonabile alla Nato, anche perché ha scopi più commerciali che militari. Sicuramente si può dire che la Russia sta cercando una sponda nel continente asiatico, dove da sempre esercita una presenza fondamentale, per spezzare l’accerchiamento dell’Occidente che si sente addosso da tempo”.
Il vertice in corso a Samarcanda, secondo alcuni analisti, potrebbe segnare la nascita di un fronte anti-occidentale. A sostenere questa ipotesi sono state le parole del presidente iraniano, che ha dichiarato che tutte le nazioni vittime delle sanzioni occidentali possono sostenersi e uscirne vittoriose. Lei che idea si è fatto?
Per prima cosa, parlare di una alleanza come intendiamo noi la Nato è fuori luogo. Va però detto che la grande forza della Russia è la sua estensione territoriale, che ne ha sempre fatto il “dominus” del continente asiatico, soprattutto dell’area centro-settentrionale. Avere quindi dei rapporti più stretti con la Cina e con i Paesi dell’area meridionale dell’Asia è importante per far fronte a quel senso di accerchiamento che i russi percepiscono da tempo.
Intende quell’accerchiamento di cui Putin incolpa in primo luogo la Nato e che sarebbe il vero motivo che ha provocato la guerra in Ucraina?
Sì, questa sensazione di accerchiamento è incoraggiata da diversi segnali in atto da anni. Pensiamo al Kosovo, alla Siria, anche al Kazakistan, che si sta avvicinando all’Occidente, alla stessa Ucraina, dove adesso i russi sono in difficoltà. Intorno a questo grande corpo che è la Russia ci sono delle crisi che minacciano quello che è il Paese più importante, ma che minacciano anche la Cina. Avere quindi dei rapporti migliori con questi paesi per Mosca è fondamentale.
A proposito di Cina, Xi Jinping non è che abbia speso grandi parole nel suo incontro con Putin. Per non esporsi?
Sì, la Cina è sempre imperscrutabile nelle sue strategie, però anche Pechino forse ha lo stesso interesse a non essere accerchiata. Va detto che la Russia non è una superpotenza, come lo si intende usando questo termine, perché oltre a un poderoso apparato militare dovrebbe avere anche una economia adeguata. Però, se riesce a realizzare un amalgama fra le economie dei Paesi Sco, può diventare competitiva con gli Stati Uniti. Ha l’esigenza di aumentare la sua portata economica e, visto che non può più farlo con l’Occidente, si rivolge all’Asia.
Tutto questo conferma quanto Putin ha sempre sostenuto dall’inizio della guerra in Ucraina, cioè la volontà di porre fine al mondo unipolare nato con la fine dell’Unione Sovietica e governato dagli Stati Uniti?
Certamente. Un mondo unipolare dove gli Usa dettano legge e decidono le guerre giuste, maledicendo quelle ingiuste. È un mondo che alla Russia non va bene, perché la Russia coltiva grandi ambizioni e ha grandi potenzialità. Non dimenticherei in questo senso le prese di posizione del patriarca Kirill, dall’inizio della guerra e anche di recente, quando i russi hanno subìto la controffensiva degli ucraini: con le sue parole ha esplicitamente chiesto un impegno per superare le difficoltà attuali. È evidente che ci sia una tensione anche spirituale in gioco. La Russia sostiene che è in gioco la sua sopravvivenza come entità sovrana.
Che risultati porterà questo vertice di Samarcanda?
Non credo che questo vertice possa portare a dei risultati a breve termine, però è realistico pensare che possa nascere una maggiore cooperazione e una visione comune fra questi Paesi.
Nel frattempo, sempre in questi giorni, sono in corso grandi manovre navali militari di Cina e Russia. Questo ci dice che c’è fra i due Paesi anche una cooperazione militare?
Le esercitazioni militari si fanno fra alleati. La Nato non ha mai fatto esercitazioni con la Russia, neanche nei momenti di maggior dialogo. Che ci sia una esercitazione militare e una maggiore collaborazione militare tra Cina e Russia vuol dire che tra i due paesi c’è un percorso aperto. Bisogna poi vedere quanto sono sinceri i vari interlocutori. Come dicevamo, con la Cina bisogna sempre capire che cosa intende fare, quanto ha interesse a farsi coinvolgere a livello militare con la Russia. Però è sicuramente una cosa importante.
(Paolo Vites)
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