Se si digita la parola “Tibet” sul motore di ricerca Google, prima di trovare un sito che parli di repressione e occupazione da parte cinese di quella che era una nazione indipendente, bisognerà far scorrere diverse pagine che rimandano a siti dedicati al turismo e alle curiosità più amene sul paese del Dalai Lama. “Fa parte del controllo che Pechino esercita, pagando, sui motori di ricerca occidentali, nulla di strano” ci ha detto in questa intervista Massimo Introvigne, sociologo, fondatore del Cesnur e del sito Bitter Winter.
Nonostante questo controllo, qualche notizia riesce comunque a filtrare, come mostra ad esempio il rapporto pubblicato da Citizen Lab, un istituto di ricerca affiliato all’Università di Toronto, secondo cui la polizia sottopone gli abitanti del Tibet a un campionamento genetico di massa. “Non è una novità neanche questa, lo fanno da anni, non solo in Tibet, ma anche nello Xinjiang, la provincia dove vive la minoranza musulmana perseguitata degli uiguri turchi. Non si tratta solo di identificare chiunque in mille modi per rafforzare la sorveglianza; alcuni dicono che sia un modo per trovare candidati da sottoporre al traffico degli organi”.
Controllo oppressivo tramite il green pass, campionamenti genetici di massa: la Cina è sempre più un regime di controllo biopolitico totale?
Sicuramente lo è. La raccolta di dati biometrici è sempre più continua, oltre a essere utilizzata per identificare chiunque in mille modi e rafforzare la sorveglianza: gli uiguri, ad esempio, sono convinti che serva per identificare candidati idonei al traffico degli organi. Basta guardare alla durissima polemica che c’è stata quando Panorama ha pubblicato un servizio a tal proposito del quale l’ambasciatore cinese ha risposto parlando di “menzogne” e “diffamazione”.
Tornando al Tibet, politicamente la questione appare del tutto invisibile, non se ne parla o quantomeno non fuoriescono notizie, è così?
Noi come Bitter Winter (sito sulla libertà religiosa e diritti umani in Cina, ndr) cerchiamo sempre di informare su quanto accade in Tibet almeno una volta alla settimana. Infatti ci sono accadimenti continui che purtroppo i media occidentali non segnalano.
Ad esempio?
È iniziato un nuovo programma di rieducazione obbligatoria per monaci e suore. Questi programmi si tengono abbastanza spesso e normalmente si insegna loro a sostenere il partito e il suo leader Xi Jinping, come da dettame ideologico. Questa volta invece ci si batte perché i monaci nella loro predicazione condannino esplicitamente alcuni movimenti spontanei e non violenti che creano problemi alle autorità.
Quali sono? Questo vuol dire che, nonostante una repressione ultradecennale, esiste ancora una opposizione in Tibet?
Uno di questi movimenti era nato dopo la repressione della rivolta del 2008 e sta prendendo piede adesso che si torna a celebrare il capodanno tibetano dopo i due anni di pandemia. Tra l’altro, in queste ultime settimane, si segnala un ritorno del virus in Tibet, per cui è facile che venga sospeso anche quest’anno. Il capodanno tibetano è una ricorrenza che segna una forte affermazione identitaria, e uno si aspetterebbe che il partito lo voglia reprimere, invece ci sono celebrazioni che hanno scopo turistico e propagandistico, a cui però i dissidenti si rifiutano di partecipare dicendo di essere in lutto. Il partito vuole che i monaci predichino che bisogna partecipare.
Paradossale, non crede?
Un’altra notizia riguarda una sorta di sciopero bianco che sembra funzionare in modo efficace e che consiste nel fatto che i contadini delle comuni si rifiutano di coltivare la terra o lo fanno in modo svogliato. Anche qui il partito chiede ai monaci di convincere i contadini. Questo programma di rieducazione come dicevo è diverso dal passato, perché mostra che il partito è disturbato da questa forma di resistenza passiva. Per combattere la resistenza attiva basta arrestare e fucilare, se uno coltiva male la terra o si dà malato è difficile da reprimere.
Questo confermerebbe che i monaci tibetani hanno ancora seguito nel popolo?
Sì, i monaci, nonostante tutto, hanno ancora un grosso seguito. Ci sono anche notizie di arresti di persone trovate con il ritratto del Dalai Lama o che ne parlano sui social, arresti anche al di fuori del Tibet nelle province incorporate.
Quindi il Partito comunista, nonostante l’occupazione del Tibet ormai risalente a settant’anni fa, non ha ancora messo a tacere il popolo?
No. Ci sono altre parti della Cina interessate a questo fenomeno, ad esempio quella che viene definita Mongolia interna e che i suoi abitanti chiamano Mongolia del Sud per sottolineare la loro appartenenza alla Mongolia indipendente. Si tratta di una meccanica della repressione che dal punto di vista giornalistico non fa notizia, ma è costante. Noi ad esempio abbiamo pubblicato un articolo su un signore anziano che è stato 13 anni in carcere perché si rifiuta di firmare una dichiarazione che abbandona il Falun Gong, una disciplina spirituale cinese che prevede la meditazione, ma che il governo ha bandito definendola anti-sociale e anti-cinese. Adesso è stato condannato ad altri 4 anni di carcere. La Cina influenza fortemente i media occidentali con accordi di scambio di notizie e contributi economici.
(Paolo Vites)
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