Chi ha inventato la musica punk, gli americani o gli inglesi? E cosa significa davvero “punk”? Un genere musicale, una attitudine, un movimento politico e culturale? Le etichette, si sa, lasciano sempre il tempo che trovano e in fondo l’avventura dei Sex Pistols, da molti definiti gli inventori del punk, fu chiamata da loro stessi e da chi li aveva creati “la grande truffa del rock’n’roll”. Se vogliamo essere didascalici, il punk avrebbe origine già nel 1963, quando un gruppo di Portland, nell’Oregon, lontani da ogni circuito musicale che contava, incisero una cover di un pezzo scritto ancor prima, nel 1955, da tale Richard Berry: Louie Louie. I Kingsmen, musicisti poco abili, trasformarono l’originale dal ritmo caraibico in un devastante pezzo garage, dove il chitarrista sbaglia l’assolo, il batterista cerca di coprire l’errore e il cantante sputa frasi inintelligibili (tanto che l’FBI si mise a studiare la canzone per capire se lanciava messaggi osceni…).
Cosa c’è di più punk tutto di questo? E’ comunque un dato di fatto che le basi del punk abbiano origine nel cosiddetto garage rock americano molto in voga tra i ragazzini americani di fine anni 60 e quindi si possa senza dubbio definire nato in America, anche perché l’astuto Malcolm McLaren, l’uomo che inventò i Sex Pistols, prese l’idea dalla scena rock della New York dei primi 70 dove allora viveva.
Dead Boys, Young Loud & Snotty, 1977
Può arrivare qualcosa di buono da Cleveland, Ohio? Il punk riuscì a sdoganare la città più noiosa dell’impero, grazie ai Dead Boys, formazione nata dalle ceneri dei Rocket from the Tombs, i cui membri diedero vita anche a un altro gruppo seminale, i Pere Ubu. Guidati da Stiv Bators, esempio perfetto di eroe punk, e dal chitarrista Cheetah Chrome, i Dead Boys sono considerati uno dei gruppi più turbolenti e violenti dell’epoca; esordiscono nel 1977 e si sciolgono due anni dopo, con solo due album all’attivo. Ma il primo lascia il segno, grazie anche a uno dei brani manifesto dell’era punk, Sonic Reducer, ripresa negli anni da una infinità di gruppi, dai Guns n’ Roses ai Pearl Jam: “Non ho bisogno di nessuno non ho bisogno di mamma e papà non ho bisogno di un bel viso non ho bisogno della razza umana ho delle notizie per te: non ho nemmeno bisogno di te”. Autentico nichilismo punk.
9. Blondie, Blondie, 1976
Per i critici erano una band che copiava i gruppi pop femminili degli anni 60. Per il pubblico del CBGB erano troppo commerciali (anche Patti Smith li disprezzava). Loro invece erano espressione pura della New York schizoide e avant-rock del periodo. Quando esordiscono hanno pronto un singolo perfetto, Sex Offender, la storia di un diciottenne arrestato per aver fatto sesso con una fidanzata minorenne. Troppo esplicito, il testo viene cambiato con la storia di una prostituta attratta da un agente di polizia che l’aveva arrestata. Anche il titolo viene cambiato, diventa X Offender. Con una cantante come l’esplosiva Debbie Harry, i Blondie non potevano non avere successo.
X, Los Angeles, 1980
Se New York trema, Los Angeles brucia. La band capitanata dalla coppia Exene Cervenka e John Doe erige un ponte sulla carta impossibile fra il mondo degli anni 60 e quello del loro momento storico, chiamando a produrre il disco d’esordio nientemeno che il tastierista dei Doors, Ray Manzarek.
Il risultato è un album che getterà le basi per tutto il punk hardcore californiano, aprendo con urgenza una nuova pagina della storia. Da una parte la celebrazione degli eroi del passato, nella title track dove il chitarrista Billy Zoom suona come se Eddie Cochran fosse Steve Jones, dall’altra una città per serial killer dove Johny Hit And Run Paulene. Devastante, Los Angeles è un incubo sonoro che non lascia prigionieri.
7. The Sonics, !!!Here Are The Sonics!!!, 1965
Come i già citati Kingsmen, come Paul Revere & the Raiders e dozzine di altri gruppi rimasti sconosciuti, i Sonics rappresentano le basi della futura ondata punk. Loro non lo sapevano ma la frenesia, l’eccitazione, la violenza, la crudezza, che esprimevano avrebbe fatto di loro una ispirazione che si è protratta fino alla scena grunge. Originari della sperduta Tacoma, nello stato di Washington, la loro massima aspirazione era far casino nei college e ci riuscirono.
Adottavano tecniche da cazzoni anche in studio: il loro disco d’esordio venne registrato su un registratore a due tracce con un solo microfono per l’intera batteria. Esattamente come trovarsi in un garage, da cui i critici musicali adottarono la definizione di “garage rock”. Il loro unico successo, a livello regionale, fu The Witch, probabilmente il brano più rumoroso e aggressivo dell’epoca, considerato il primo brano proto-punk. Originariamente doveva essere la descrizione di un ballo allora in voga, ma poi venne riscritta per raccontare la storia di una donna traditrice.
6.New York Dolls, New York Dolls, 1973
Glam? Punk? Imitatori degli Stones? Di tutto e di più. Sicuramente il gruppo di David Johansen, Sylvain Sylvain e Johnny Thunders ha avuto il merito per primi di sfidare il monolite allora imperante del prog rock, tutto tecnica e poca anima.
Con il loro approccio rozzo, distruttivo, ironico, sbeffeggiante hanno portato in primo piano i temi della gioventù metropolitana, dell’alienazione adolescenziale, del romanticismo e dell’autenticità. Quasi del tutto ignorato al tempo della pubblicazione, il loro esordio oggi è considerato una delle pietre miliari del rock e della scena proto-punk grazie a brani manifesto come le irresistibili Personality Crisis e Trash.
5. Iggy and TheStooges, Raw Power, 1973
Già con il loro esordio nel 1969 gli Stooges avevano messo in chiaro le loro carte: approssimazione musicale, tanta rabbia e violenza distruttiva. Ma quel disco e il successivo non se li erano comprati quasi nessuno. Ci riprovano nel 73, con un cambio di formazione e mettendo in primo piano il cantante, uno schizoide che si taglia il corpo con le lamette come faranno poi “gli inglesi”, balla seminudo come un ossesso e si fa di eroina come fosse Coca Cola.
Ma soprattutto, un loro fan di lusso li prende sotto braccio. Nientemeno che David Bowie se li porta a Londra dando loro il credito necessario per portare a termine quella che sarebbe stata una missione impossibile. Definito un disco heavy metal più che punk, basta però il singolo Search and Destroy come manifesto di una generazione nichilista e pronta a distruggere tutto: “Sono un ghepardo che cammina per strada di notte con il cuore pieno di napalm, sono un figlio in fuga dalla bomba atomica, sono il ragazzo dimenticato di un mondo, sono colui che cerca e distrugge”.
4. The Heartbreakes, L.A.M.F. , 1977
Capitanati dall’ex New York Dolls Johnny Thunders, gli Heartbreakers per quello che sarà il loro unico disco si presentano sin dal titolo con un acronimo che dice tutto:Like a Motherfucker. Il gruppo, attivo sin dal 1975, era stato portato in Inghilterra da Malcolm McLaren che gli aveva fatto prender parte allo storico Anarchy Tour insieme ai Sex Pistols con anche Clash e Buzzcocks. Rimasti senza una lira, trovano una etichetta inglese disposta a farli incidere.
Il disco che ne viene fuori è caotico e mal registrato, con tutti i membri del gruppo dipendenti dall’eroina, ma nonostante questo è evidente la classe superiore di Johnny Thunders tra tutti i punk rocker del periodo. Se Chinese Rocks, un brano che vuole fare il verso a Heroin di Lou Reed raccontando nel dettaglio le devastazioni quotidiane di un tossicomane è stato composto da Richard Hell e Dee Dee Ramone, Born to Lose (scritto in modo sbagliato sul disco, Born to Loose) è il perfetto manifesto di quel periodo storico: “Nato per perdere, ho vissuto tutta la mia vita inutilmente, ogni sogno mi ha solo procurato dolore”.
3.Richard Hell and the Voidoids, Blank Generation, 1977
Troppo egocentrico per rimanere a lungo in una band, troppo geniale per avere successo, troppo drogato per registrare dischi. Richard Hell aveva già fatto parte di due delle band seminali della scena newyorchese, i Television e gli Hertbreakes, andandosene prima che incidessero i loro dischi di esordio. E’ così che si mette in gioco da solo con il disco che è il ritratto perfetto di quel periodo: buon rock’n’roll che guarda alla grande storia di questo genere musicale e testi nichilistici e alienati.
Hell è anche l’inventore del look punk a cui McLaren e i Sex Pistols avrebbero attinto: capelli tirati a spillo, camicie strappate e t shirt tagliate e tenute insieme da spille da balia. Si proclama il leader di una generazione “vuota”, la “blank generation, che non ha nulla a cui guardare e per cui lottare, non ha eroi, non ha obbiettivi perché tutto è già stato fatto e tutto si è rivelato un fallimento. Non resta che andare Down at the rock’n’roll club e dichiararsi: “Se potessi infilarmi una penna nel cuore, sanguinerei su tutto il palco, ti soddisferebbe, ti scivolerebbe via, penseresti che il ragazzo è strano?”. La grandezza di questo disco è dovuta anche alla presenza di due chitarristi del livello di Robert Quine e Ivan Julian.
2.Ramones, Ramones, 1976
Jeans stracciati con vent’anni di anticipo, giacca di pelle da motociclista, t-shirt bianca, capelli sugli occhi e scarpe da tennis: fu la loro divisa d’ordinanza sin dagli inizi, il 1974. Troppo scarsi tecnicamente per fare cover di altri artisti, divennero immediatamente gli eroi della mecca del punk, il CBGB, per la loro attitudine stravolgente e devastante: qualcuno disse che sembravano dei fumetti in carne e ossa.
Canzoni di due minuti al massimo, riff monolitici di chitarra, batteria che pestava a sangue e un cantante stralunato alto quasi due metri che inventò il grido di battaglia dei successivi decenni: Hey Ho! Lets go! alternato a Gabba Gabba Hey! Innamorati delle melodie pop del decennio precedente, su tutti i Beach Boys, non si vergognavano di apparire come dei fessi stralunati a cui non fregava un cazzo di niente. Riportarono il rock’n’roll alla sua essenza originale: divertimento puro, con cavalli di battaglia immortali come Blitzkrieg Bop, Judy is a Punk, Beat on the Brat, Now I Want to Sniff Some Glue, permettendosi in seguito anche il lusso di fare un disco prodotto da Phil Spector (finì con una pistola puntata contro di loro, ma anche questo era punk).
1. Patti Smith, Horses, 1975
Alla fine il cerchio si chiuse e Patti Smith riuscì nella missione che tutti, senza saperlo, si erano imposti, ma lo fece nel modo migliore: tre accordi di chitarra fusi con il potere della parola. Chissenefrega se non sai suonare chissenefrega se non sai cantare. Patti Smith aggiunse all’urgenza della sua generazione un carico di poesia che riportava direttamente ai tempi del primo Bob Dylan e a quelli di Jim Morrison con un membro fondatore di uno dei gruppi proto punk più adorati, John Cale dei Velvet Underground, alla produzione. La lunga cavalcata che è il rifacimento irresistibile del classico Gloria è una dichiarazione di intenti sputata in faccia al mondo, i quasi 10 minuti di Birdland e Land sono inesorabili mentre Free Money è un sogno che diventa incubo.