Tutti gli anni ci si stupisce per le domande degli esami di ammissione a medicina: a volte strampalate, a volte cervellotiche, a volte complicatissime: sempre domande tecniche o quiz di intelligenza. Sarà un caso, ma al tempo stesso, sgonfiata la bolla retorica dei “medici-eroi del Covid”, l’insoddisfazione del pubblico verso la sanità riprende a ribollire e cresce la disaffezione del personale medico nel Ssn con l’alto numero di dimissioni, quasi una fuga di sanitari. Le tre questioni sono intimamente legate: un medico non è un tecnico, non deve essere formato da tecnico e non deve essere selezionato su basi tecniche. Quando al medico viene detto di fare il tecnico ha due opzioni: o si mette a fare soldi o si disamora.
Non si capiscono due cose di questo processo selettivo. La prima è perché la selezione riguardi domande di biologia, chimica, anatomia che poi saranno di nuovo e approfonditamente insegnate durante il corso di laurea: se poi le insegneranno di nuovo, che senso ha richiederle preventivamente?
La seconda riguarda il merito delle domande: perché invece di domandare se uno conosce la formula del bicarbonato di sodio, non si analizzano attraverso gli indicatori psicologici, disponibili e validi, il tipo di personalità del soggetto candidato? Questo è un problema sollevato varie volte anche da Umberto Galimberti a proposito degli insegnanti: la motivazione e il carattere contano almeno quanto le conoscenze tecniche. Anche perché un medico motivato è per sua natura portato ad approfondire e a oltrepassare gli obblighi richiesti dal contratto e dai protocolli e quando questo manca, ecco il vallo tra sanitari e pazienti: la freddezza, l’aziendalizzazione, la routinarietà, la mancanza di un sanitario di riferimento, la mancata disponibilità. Ti insegnano ad aderire ai protocolli, se lo fai come un computer ancora meglio; e lì finisce il tuo impegno. Ma questo porta al massimo alla mediocrità; e non soddisfa il paziente, come ben illustra il sociologo Barry Schwartz. Quante azioni legali si eviterebbero se i medici fossero più chiari, più reperibili, non nel senso di una falsa amicizia di facciata, ma in quello di una collaborazione. Invece nell’era degli ospedali-aziende e delle Usl-aziende, il rapporto medico medico-paziente ha una forma di contratto, come tra due estranei, mentre dovrebbe essere una continua interazione e familiarità. E questo stride al medico e stride al paziente.
Allora, spostiamo la mira, e passiamo alla valutazione del tipo di personalità del candidato. Esistono scale di valutazione adottate in tutto il mondo, che non hanno nulla di lombrosiano, cioè della separazione tra buoni e cattivi dalla faccia e dal ghigno, ma scale serie e funzionali. Per esempio gli indicatori di Meyers-Briggs o di Jung che danno una idea molto valida di ciò per cui il soggetto è portato, il tutto supportato da recenti e validi studi scientifici. Su questo argomento merita leggere un interessante studio pubblicato nel 2019 su BMC Medical Education.
Insomma, se dovessi scegliere un medico, preferirei un altruista ad un avido, un meticoloso ad un pavido, un sincero ad un distratto. E su questo una selezione si può fare. Non credo nei test di intelligenza, primo perché misurano al massimo uno o due tipologie di intelligenza, ma non le intelligenze affettive, adattive, strategiche; secondo perché basta studiare intensamente i trucchi che li contraddistinguono e mi dicono che li supera chiunque (se studia i trucchi, non se ha intelligenza). Ovviamente, la base è la competenza clinica. Ma la competenza in mano ad uno che poi fa il santone della medicina, o che sparisce quando serve, non è tutto. E la base è anche valorizzare le competenze, non abbassare l’asticella per motivi di budget o perché chi eccelle crea invidia nei mediocri.
Attenzione a non confondere il bravo medico col medico simpatico, anzi simpaticissimo. Quello che vogliamo non è simpatia, ma dedizione (e cultura).
Allora riformiamoli questi esami! I medici sono stanchi e affaticati talora per demansionamento ingiustificato e talora per mancanza di motivazione; e la motivazione sorge laddove si seleziona su base olistica, non su un indicatore budgetario o come certi casi di cronaca mostrano, su clientele. Ripartire dalla base, dal criterio di ammissione su base di predisposizione, di vocazione, di interesse, e non di quiz di logica (per superare le quali basta allenarsi su appositi test).
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