Con la fine dell’estate sono tornati a furoreggiare in televisione analisti e strateghi per commentare l’evoluzione del conflitto tra Russia e Ucraina. Per lo più si tratta di studiosi già visti nei mesi precedenti e per l’ascolto dei quali si può suggerire qualche criterio selettivo con una premessa fondamentale. E la premessa è questa: le informazioni ci servono per scegliere o per essere tranquillizzati nelle nostre opinioni? In altre parole, le informazioni dovrebbero servire ad esercitare la nostra libertà di scelta. L’analista serio elenca una serie di dati e li interpreta in modo da essere “l’anticamera delle nostre decisioni”. Il propagandista ne elenca un numero più limitato, omette quelli che contraddicono la sua tesi e cerca di influenzare l’opinione pubblica, ossia te, spettatore sprovveduto, privo, di solito, di conoscenze pregresse. Ma poiché per costruire un campo di conoscenze pregresse bisogna studiare e spendere tempo per un’attività che non porta a nessun guadagno immediato, è più semplice recepire un messaggio precotto che predica il futuro.
Si osservi come alcuni personaggi si vantino di “aver previsto tutto”: il che di solito non è, perché la realtà della guerra è piena di imprevisti. Ma allora perché chiamare questi indovini “analisti”? Sarebbe meglio definirli “aruspici” che prevedono il futuro scrutando nelle viscere del quotidiano o il volo dei leader politici, ma che hanno un effetto “placebo” sicuro: risolvono la nostra ansia sul futuro. Tanto poi, anche qualora siano smentiti dai fatti qualche mese dopo, chi si ricorderà delle baggianate da loro proferite?
L’attuale evoluzione del conflitto, anticipata in tempi e modi dal generale americano Frederick Ben Hodges (uno dei pochi che, finora, ha sempre azzeccato le previsioni basandosi su dati oggettivi) se può far innalzare legittimi peana ai commentatori anti-Putin, non permette, tuttavia, di far presumere una conclusione a breve della guerra. Non si tratta di essere pessimisti: solo di capire se siamo attrezzati alle prove che ci attendono e, in ultima analisi, di chiarire a noi stessi quale sia la posta in gioco.
Un aiuto importante ci viene dalle opere di tre autori: il generale John Hackett con La terza guerra mondiale: una storia futura (Rizzoli 1979) e La terza guerra mondiale: parte seconda. Gli archivi segreti raccontano (Rizzoli 1984); Tom Clancy con Uragano rosso (Rizzoli 1987); il generale Richard Shirreff con War with Russia: an urgent warning from senior military command edito nel 2016 in Gran Bretagna e, purtroppo, mai tradotto in Italia. Ciò che qui interessa è vedere se vi sono analogie col presente, analisi dei comportamenti russo-sovietici, indicazioni sull’esito del conflitto prefigurato.
I due volumi del generale britannico John “Shan” Hackett rappresentano un punto fondamentale nella storia militare. L’autore, ufficiale degli ussari, guidò una brigata di paracadutisti nell’operazione Market Garden. Eroe di guerra, comandante dell’armata britannica del Reno, docente di letteratura e di storia, Hackett è stato, in effetti, un uomo straordinario e multiforme. Ne è prova la sua sensibilità culturale che lo ha portato a prevedere i disordini sindacali in Polonia e le sommosse a Berlino est, avvenute, secondo Hackett, alla fine del 1984. Per reprimere questa crisi politica che scuoteva dalle fondamenta l’impero sovietico, il presidente del Soviet supremo Vorotnikov approva la proposta fatta dall’ala militarista del Cremlino per una grande offensiva a ovest allo scopo di “denazificare la Germania”. Inquietante? A pagina 163 Hackett riporta il proclama sovietico all’inizio dell’offensiva in cui il Cremlino afferma di essere entrato in possesso dei piani della Germania Ovest per attaccare la Repubblica Democratica Tedesca. “È ormai più che chiaro – conclude il comunicato sovietico – che non vi è più tempo da perdere per amputare il cancro nazista. Altrimenti scomparirà ogni traccia di speranza di una pace durevole in Europa”.
L’attacco del Patto di Varsavia inizia il 4 agosto 1985 e viene attuato con l’uso di aggressivi chimici sul fronte nord tedesco contro olandesi e belgi che non dispongono di armi per condurre rappresaglia, mentre è escluso nel settore centrale, dove le truppe americane potrebbero invece restituire il colpo. Superfluo dire che, dopo qualche esitazione, la rappresaglia chimica della Nato viene scatenata sul fronte nord e mette fine alla guerra chimica. Dopo tre settimane di battaglie furibonde con perdite terrificanti da una parte e dall’altra, l’avanzata sovietica viene fermata e non raggiunge gli obbiettivi prefissati. Ma è proprio a questo punto che l’ala militarista e apocalittica del Cremlino costringe Vorotnikov ad autorizzare un attacco nucleare su Birmingham alle 10:30 del 20 agosto 1985. Immediata la risposta della Nato con quattro ordigni nucleari che inceneriscono Minsk. A questo punto, mentre un’armata sovietica in Olanda si ammutina e passa alla Nato, un alto ufficiale ucraino, Vasyl Duglenko, organizza un colpo di stato al Cremlino uccidendo di propria mano il presidente Vorotnikov e facendo arrestare tutti i membri del Politburo.
Più semplice e di facile lettura il classico di Tom Clancy. Qui l’evento scatenante è dato da un attentato islamista che distrugge la principale raffineria dell’Unione Sovietica e cancella la disponibilità dell’Urss di prodotti petroliferi. Di fronte alla prospettiva di una completa rovina economica i russi decidono di attaccare. Il casus belli viene fornito da una “false flag”, un attentato compiuto nel Cremlino stesso contro un gruppo di ragazzi in visita. Vengono esibite le prove inconfutabili secondo cui la Repubblica Federale Tedesca avrebbe ordinato l’attentato allo scopo di riunirsi con la Repubblica Democratica Tedesca. L’ultimatum sovietico richiede l’immediata smilitarizzazione della Germania Ovest. L’attacco sovietico dopo alcuni iniziali successi viene tamponato e fermato. Di fronte alla sconfitta il Cremlino fa destituire e fucilare alcuni generali, poi prende in considerazione l’ipotesi di utilizzare armi nucleari tattiche per sfondare il fronte della Nato. Il generale Alekseyev si pone alla testa di una divisione che attacca il Cremlino. Clancy descrive il conflitto in aria, terra e oceano in modo appassionante e competente sotto l’aspetto militare ma manca del tutto dello spessore culturale e politico di Hackett.
L’opera del generale britannico Shirreff è, tuttavia, quella che oggi appare più interessante. Nel 2016 aveva constatato che la possibile entrata dell’Ucraina nella Nato avrebbe scatenato la reazione russa (pagina 15). Abbinata a questa esigenza strategica vi è anche la difficile situazione economica della Russia (pag. 43). A fronte di questo il Cremlino constata l’inefficienza dell’apparato militare della Nato “solo parole e niente azioni” (pag. 46). Già all’inizio del libro i russi eseguono un colpo di stato in Ucraina, occupandola per intero quasi senza combattere. È possibile che Putin avesse in mente questo scenario? Forse sì ma la realtà è stata diversa.
Si tratta poi di distruggere la Nato e frantumare l’Unione Europea. Di particolare interesse le valutazioni che Shirreff accredita ai responsabili del Cremlino. “Vladimir Vladimirovic – dice il ministro degli Esteri – non avete niente da temere dall’Unione Europea. Sì il regime delle sanzioni (successive all’occupazione della Crimea, nda) ci hanno danneggiato ma hanno danneggiato anche loro”. E aggiunge Komarov: “Non solo abbiamo nel sacco Grecia, Ungheria e Cipro ma possiamo sfruttare divisioni anche in Francia. Le nostre banche hanno dato prestiti al partito di Marine Le Pen per diversi anni. Ora devono mostrarci simpatia altrimenti chiederemo immediato rimborso dei nostri crediti… io non credo nemmeno per un momento che Inghilterra, Francia e Germania rischieranno le vite dei propri soldati per difendere i membri orientali della Nato. Il loro elettorato non glielo permette”.
Ancora più interessante il dibattito che si svolge il 18 maggio 2017. Si fa il bilancio delle attività svolte nei Paesi baltici con scioperi in Lettonia e rivolte in Estonia. Un attacco ai Paesi baltici non sarebbe impedito dalle scarse forze militari Nato ivi presenti. “Quando la Nato non riuscirà a reagire sarà sconfitta e crollerà. Non sarà più una minaccia per la Russia. Senza la Nato l’Europa sarà costretta a chiederci di non avanzare. E sarà così, a parte la Polonia orientale che è stata storicamente parte della Russia. Saremmo tutti felici di visitare Parigi come turisti. Ma c’è un prezzo da pagare per la nostra tolleranza. Chiederemo che queste sanzioni criminali siano tolte immediatamente e con le nostre armate vittoriose ai loro confini e i nostri missili nucleari puntati su di loro potranno rifiutare? Non credo. Il G7 tornerà ad essere G8 e la Russia sarà l’attore principale. Il Fondo Monetario Internazionale oserà non darci prestiti a interessi facilitati? Non credo. E qui ecco un pensiero spassoso suggerito da uno dei miei collaboratori. Una volta che ci saremo impadroniti dei Paesi baltici, membri tutti e tre dell’Unione Europea, questo non ci renderà membri della Ue? E con tre voti in più (…) Perché la Russia è sempre stata parte dell’Europa e, come membri della Ue, avremo diritto a ricevere massicci aiuti strutturali e fondi per l’investimento. In caso di rifiuto rischieranno un nostro attacco missilistico. E non ci sarà nessuna Nato che potrà resisterci”.
Ecco, questa è la posta in gioco: un’Europa occidentale aggiogata a una cleptocrazia. Fantapolitica? Ma non è stato Medvedev a prevedere la scomparsa dell’Unione Europea? La storia di Shirreff prosegue con l’attacco russo e il suo insuccesso dopo alterne vicende. Di fronte a tale sconfitta il presidente russo cerca di fuggire in Siberia ma il suo elicottero si schianta al suolo.
Interessante quindi notare come in tutte le ipotesi fin qui descritte la vittoria dell’Occidente possa essere raggiunta solo attraverso una crisi interna russa. E qui si ritorna a un punto oggi quasi dimenticato: che solo la cultura umanistica russa, che convive in quel Paese con la violenza più estrema e priva di scrupoli, può far tornare indietro le lancette dell’orologio dell’apocalisse e salvare sé stessa e il mondo intero. Quella cultura che abbiamo colpevolmente dimenticato per quarant’anni e che avrebbe potuto salvarci.
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