“Il rapporto della società siciliana con la mafia è cambiato profondamente nel corso dell’ultimo secolo”. Questa affermazione è riportata nelle prime pagine del libro Mafia. Fare memoria per combatterla che il presidente del Tribunale di Palermo Antonio Balsamo ha pubblicato recentemente per Vita e Pensiero (2022).
Il libro si rivela uno strumento prezioso per rileggere in modo sintetico e chiaro il rapporto che i mafiosi hanno intrattenuto non solo con la Sicilia, ma anche con gli Stati Uniti e più di recente con il più vasto contesto internazionale.
“Per accorgersene – prosegue Balsamo – basta mettere a confronto le tre generazioni che hanno vissuto nell’isola, rispettivamente intorno al 1920, tra il 1970 e il 1990, e ai nostri giorni”. Ed è questo il compito che si dà e che assolve con efficacia ripercorrendo in modo lineare i fatti e le vicende di mafia fino al 2020 e allo scoppio della pandemia.
Molte pagine sono dedicate poi al “diritto alla verità sulla stagione del terrorismo mafioso” nelle quali attraversa analiticamente gli anni che vanno dall’omicidio del presidente della Regione Siciliana Piersanti Mattarella (1980) fino al progetto di attentato contro il giudice Nino Di Matteo, con una osservazione dei fatti per così dire “dall’interno”, realistica, oltre che documentata.
L’ultimo capitolo, forse il più interessante, è dedicato al futuro della lotta alla mafia.
L’autore parte da una considerazione ormai fortunatamente e ampiamente acquisita secondo cui la lotta alla mafia non può essere monopolio dello Stato, ma deve fondarsi sul modello “partecipativo” che “si contrappone a quelli – fortemente illiberali – dello Stato autoritario e della ‘società senza Stato’”.
Mette in campo la sua consolidata esperienza fatta anche a livello internazionale con la personale collaborazione con gli uffici delle Nazioni Unite a partire dallo sviluppo delle potenzialità operative della Convenzione Onu firmata a Palermo. Molte delle espressioni della criminalità organizzata hanno – a giudizio di Balsamo – delle caratteristiche transnazionali, ma per una buona parte di queste manifestazioni non c’è ancora uno strumento specifico che abbia una estensione adeguata, tenuto conto dell’alto numero degli Stati coinvolti. Su questo aspetto l’autore indica molte piste di lavoro, tutte già in via di perseguimento, a partire da un ampio e accurato uso delle tecnologie informatiche, che hanno però bisogno di essere approfondite e trovare collaborazione tra tutti i governi e la costruzione di organi investigativi comuni che facciano uso appunto delle moderne tecnologie. Entrambi questi aspetti formano oggetto della “Risoluzione Falcone” adottata nel 2020 dalla Conferenza delle parti della Convenzione di Palermo.
In questo contesto lancia un richiamo sulla formazione dei magistrati, che non può esaurirsi in quella impartita nella Scuola superiore della magistratura, ma deve essere accompagnata dalla conoscenza profonda della realtà e delle attese della gente. Tra l’altro in questo quadro suggerisce che si potrebbe pensare a diverse modalità di svolgimento del concorso per la magistratura, richiedendo per il diritto civile e penale delle “conoscenze dei profili europei e internazionali, con specifico riferimento alla tutela dei diritti dell’uomo. Si potrebbe, anzi, aggiungere la previsione che il colloquio in lingua straniera abbia oggetto proprio la tutela internazionale dei diritti fondamentali” (pag. 148).
Altro tema particolarmente interessante è quello del “diritto alla speranza”. A pag. 151 la definisce così: “Va vista come un aspetto importante e costitutivo della persona umana”. Secondo questa prospettiva anche gli autori dei reati più gravi conservano la loro umanità fondamentale e hanno la capacità intrinseca di cambiare; essi quindi conservano la speranza che un giorno potranno riscattarsi per gli errori commessi, e impedire loro di nutrire tale speranza significherebbe negare un aspetto fondamentale delle loro umanità.
Al diritto alla speranza si lega giuridicamente quello dell’ergastolo ostativo, il quale stava per essere riformato con l’approvazione di una sua nuova versione approvata il 31 marzo 2022 dalla Camera; poi non c’è stato il tempo perché venisse esaminata e approvata dal Senato. Per Balsamo è una questione cruciale, perché non è possibile ritenere che il significato del diritto alla speranza possa esaurirsi nel far rientrare nella società civile persone che non hanno manifestato nessuna comprensione per le vittime e per il loro dolore. Il significato vero è quello di richiedere a tutte le persone un impegno forte di riscatto che deve essere fatto tenendo in considerazione nel massimo grado le esigenze profonde delle vittime di reato. È utile citare una sua recente dichiarazione che approfondisce ulteriormente questo decisivo tema: “Credo esistano tante dimensioni del diritto alla speranza. C’è una dimensione individuale, ma anche una collettiva. Si tratta di un autentico percorso di riscatto. Questo è il significato profondo che ha attribuito a questo concetto la persona che l’ha coniato, la collega Ann Powell-Ford, con cui ho avuto la fortuna di lavorare assieme. È una di quelle persone che pone la fede cristiana a fondamento di un grande impegno di giustizia, esattamente come faceva Rosario Livatino”.
Numerosi altri sono i temi oggetto della riflessione del presidente Balsamo. Ampio spazio viene dedicato al tema del contrasto economico della criminalità, con particolare riferimento ad ogni tipo di azione, non solo giuridica, che consenta uno scambio di conoscenze ed esperienze tra tutti gli Stati.
L’ultimo tema offerto alla riflessione dei lettori è quello del sostegno ai percorsi di cambiamento dopo il carcere. La sua proposta è la riattivazione del Consiglio di aiuto sociale, previsto dall’Ordinamento penitenziario del 1975. “I compiti a esso assegnati – scrive – comprendono le visite ai detenuti in via di liberazione per favorirne il reinserimento sociale, l’accertamento dei loro reali bisogni, la raccolta di notizie sulle possibilità di collocamento al lavoro, l’opera diretta ad assicurare un’occupazione dopo la liberazione anche con l’organizzazione di percorsi di addestramento professionale, il mantenimento delle relazioni tra i detenuti e le loro famiglie, la segnalazione dei bisogni di queste ultime alle autorità competenti, la collaborazione per il coordinamento delle attività assistenziali degli enti e delle associazioni pubbliche e private nonché dei volontari” (pag. 165-6).
Come non condividere, dopo questo percorso, la conclusione dell’autore? “Una visione dove la cultura della legalità deve divenire patrimonio non soltanto della magistratura, ma di tutta la comunità, inclusi gli autori di reato. Il futuro della lotta alla mafia può passare anche attraverso questo percorso di impegno solidale, al Sud come al Nord. È questa la via per realizzare la dimensione collettiva del diritto alla speranza” (pag. 167).
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