Ursula von der Leyen nel suo intervento all’Università di Princeton, parlando delle prossime elezioni italiane, si è lasciata andare ad alcune considerazioni (poi fatte rettificare) a dir poco non pertinenti, dimenticando i doveri del suo ruolo di presidente della Commissione europea e violando i Trattati europei.
In particolare, ha lasciato intendere, facendo anche un parallelo con le elezioni svedesi, che ,qualora vincesse in Italia la coalizione di centrodestra, “le cose (andrebbero) in una direzione difficile”; inoltre, avrebbe paragonato un governo di centrodestra ai governi attuali di Polonia e Ungheria; infine, ha espresso, senza mezzi termini, il concetto che le istituzioni europee avrebbero gli strumenti per esercitare forme di coercizione rispetto al risultato elettorale indesiderato, dicendo “abbiamo gli strumenti”.
Precisiamo subito che la Commissione europea non è il “governo europeo”, ma semplicemente – usando il linguaggio del diritto internazionale e dei trattati – un’Alta autorità istituita dagli Stati contraenti che deve comportarsi in modo “indipendente”, con “onestà e delicatezza”. La Commissione non esprime l’indirizzo politico dell’Unione, che spetta al Consiglio europeo, ed è politicamente neutrale.
Le dichiarazioni della presidente della Commissione sono state politicamente neutrali? Lasciano intendere che eserciti il suo ruolo in modo indipendente? Purtroppo sembra si sia lasciata invischiare in un dibattito dal quale doveva rimanere estranea e, se è questo che pensa delle “pericolose” elezioni italiane, farebbe bene a dimettersi.
È pur vero che nei giorni scorsi anche il cancelliere tedesco si è lanciato in dichiarazioni non appropriate e che lo stesso è accaduto con un filosofo francese intervistato su Rai3 nella trasmissione di Damilano. Ma è pur vero che nel primo caso siamo di fronte a un politico, cioè ad un uomo di parte, e nel secondo di fronte ad un libero pensatore che gode nel nostro Paese della tutela dell’art. 21 della Costituzione.
Però, la presidente della Commissione non può essere di parte e neppure è una libera pensatrice; e se parla nell’esercizio delle sue funzioni, si dovrebbe attenere ai suoi compiti come previsto dai Trattati. Ed è quello che non ha fatto.
In primo luogo, ha parlato per partito preso e, particolare non indifferente, prima delle elezioni italiane, facendo un processo alle intenzioni. Ha quindi esercitato una pressione mediatica indebita sull’opinione pubblica italiana e su quella internazionale, proiettando un’immagine negativa di uno Stato membro dell’Unione Europea.
In secondo luogo, l’Italia non è la Polonia, non è l’Ungheria e neppure la Germania. L’Italia è un paese democratico che ha sconfitto il fascismo con una guerra di popolo e tutti i partiti italiani, compresi i militanti di Fratelli d’Italia, apprezzano come un bene prezioso la libertà e la democrazia.
Oggi tutti i partiti, ripeto tutti, operano all’interno del quadro costituzionale e se un partito vuole cambiare la Costituzione in senso presidenziale, poiché ciò non tocca i limiti alla revisione, dati dai diritti inviolabili dell’uomo e dai principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale, ciò è perfettamente lecito, come fu lecito proporlo ai tempi della Commissione D’Alema (1997), quando tutta la sinistra scoprì di essere presidenzialista.
È apprezzabile che sulle riforme costituzionali si chieda il voto, perché così decidono gli elettori; e ciò è diverso da quello che fece Renzi tra il 2014 e il 2016, che senza un mandato sulle riforme da parte degli elettori, propose con tutto il Pd uno stravolgimento della Carta repubblicana, in senso statual-burocratico, che per fortuna fu bloccato dal popolo con il referendum del 4 dicembre 2016.
In Polonia non è solo la politica a destare preoccupazione, ma anche le pronunce della Corte costituzionale polacca, che irridono ai trattati; non mi pare che l’assetto istituzionale italiano sia in questo stato.
Si accusa l’Ungheria di essere un’autocrazia elettorale; anche in questo caso non mi pare che le elezioni in Italia siano diventate un modo per eleggere un autocrate; a meno di non ricordare male, un autocrate è uno che detiene il potere in modo assoluto e lo lascia solo se muore; in Italia, per non parlare del passato, nell’ultima legislatura appena finita vi sono stati tre governi diversi.
L’Italia non è neppure la Germania, perché rispetta il diritto europeo e nei pochi casi in cui è incorsa in procedure d’infrazione ha recuperato la condizione dettata dalle istituzioni. Diversamente, la Germania ha teorizzato nella sentenza della sua Corte costituzionale la pretesa di non rispettare il diritto europeo e lo ha fatto di continuo, in occasione del mandato di arresto europeo e in tante altre occasioni in cui ha violato il principio del “primato del diritto europeo”; sempre la Germania ha violato i Trattati per anni e anni per surplus di esportazioni, non rispettando il Patto di stabilità, e pure la Commissione europea non ha mai aperto una procedura d’infrazione; la Germania ha sempre chiesto deroghe a proprio favore nelle politiche europee e censurato le richieste degli altri Stati membri; la Germania fa tutt’ora affari con Putin anche servendosi di ex cancellieri e non vuole il price cap sul gas.
L’Italia merita perciò rispetto, quel rispetto che è prescritto nell’art. 4 para. 2 del TUE e che la von der Leyen non ha concesso al nostro Paese.
Male ha fatto la presidente della Commissione a parlare in anticipo e in questo modo, perché non esiste e non esisterà alcuna violazione dei valori europei previsti dall’art. 2 del TUE da parte delle forze politiche italiane e da parte dell’Italia nel suo insieme. Non saremo perfetti e possiamo anche migliorare, ma allo stato non c’è Paese in Europa e nel mondo in cui si apprezzi di più dell’Italia “la dignità umana, la libertà, la democrazia, l’uguaglianza” e se lo Stato di diritto soffre, semmai è per via di una certa politicizzazione di sinistra dei magistrati.
Parlando come ha parlato, la von der Leyen ha anticipato una valutazione, quella sull’evidente rischio di violazione dei valori europei, che compete al Consiglio in base all’art. 7 para. 1 del TUE, ha cioè violato la competenza di un’altra istituzione europea.
Non è questa la prima volta che proprio sul terreno del carattere democratico di uno Stato membro le istituzioni europee commettono degli errori: basti ricordare il caso dell’Austria di qualche decennio fa. Ma è bene che il governo italiano attuale e futuro reagisca a queste accuse del tutto infondate e dovrebbe farlo anche se a comporlo partecipino coloro che diffondono idiozie sul pericolo della nostra democrazia.
La democrazia italiana è forte, con la maggiore partecipazione popolare in Europa, e domenica si farà sentire.
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