Ieri gli italiani hanno votato. Questa nota è stata ovviamente scritta prima che si avessero anche gli exit polls e non tiene conto dei sondaggi che, per di più, da due settimane non possono essere divulgati. L’opinione corrente è, anche a ragione del sistema elettorale inventato dal deputato Ettore Rosato quando militava nel Partito democratico, la coalizione del centrodestra sia in netto vantaggio sugli avversari, ma quale che sia il risultato chiunque avrà la responsabilità di governare ha di fronte a sé anni difficili in cui sarà necessaria massima compattezza, chiarezza di obiettivi, una strategia coerente, un programma ben affinato e misure a volte anche impopolari.
Riceve in eredità, infatti, un’Italia che nel 2019, prima che due eventi imprevisti e anzi imprevedibili (la pandemia e la guerra contro l’Occidente scatenata dalla Federazione Russa con pure minacce di utilizzo di armi atomiche), aveva ridotto il proprio Pil pro-capite rispetto a quello del 2000 (era passata da un Pil pro-capite del 20% sopra la media di quelli dei Paesi dell’eurozona al 3% sotto), la cui crescita era di poche percentuali di un punto l’anno e la cui produttività era quasi stagnante. Ciò indica che i due eventi imprevisti e imprevedibili hanno colto un Paese in grave affanno strutturale.
Non si può non congetturare che le politiche economiche attuate negli ultimi vent’anni, e in particolare negli ultimi dieci anni quando è quasi sempre stata al Governo una forza politica di solito sconfitta alle elezioni, siano una determinante di questa situazione aggravatasi (e di non poco) con la pandemia, prima, e con la guerra, poi.
Quali che siano le responsabilità, oggi chi governerà il Paese si troverà con un’economia che dopo un breve e artificiale “rimbalzo” dovuto in gran misura dalle misure prese da noi e dal resto del mondo per contrastare il crollo della produzione e dei consumi dovuto alla pandemia, è alle prese con un’inflazione che non si ricordava dagli anni Ottanta del secolo scorso e sta scivolando verso una grave recessione. Non può utilizzare disavanzi pubblici perché il debito della Pubblica amministrazione è già sopra il 160% del Pil e minaccia di auto-alimentarsi a ragione dell’aumento dei tassi d’interesse (la settimana scorsa l’autorità monetaria americane ha deliberato un ulteriore incremento). Non dispone più della “mano tesa” della Banca centrale europea per l’acquisto di titoli di stato; anzi, non è da escludere che la Bce segua le mosse delle autorità monetarie americane e accompagni aumenti dei tassi con misure di Quantitative tightening volte a ridurre l’inflazione sino a porne il tasso nelle prossimità di quel 2% l’anno scritto nei regolamenti della Bce.
Cosa fare con vincoli che nel breve e medio periodo rischiano di diventare ancora più severi? Credo che si debba operare su due piani: stabilizzazione e sviluppo. Per stabilizzazione intendo non cadere nella trappola di inflazione e recessione che si cumulano l’una sull’altra. Per quanto riguarda l’inflazione, occorre tener presente che quella europea, e quella italiana, è molto differente da quella americana. Negli Usa il traino dell’aumento dei prezzi è la domanda che ha un passo molto più veloce della ripresa della produzione (dalla pandemia). In Europa (e in Italia) più importante di questa trazione di domanda è quella da costi (in particolare energia e soprattutto gas). In questo campo, è difficile agire da soli; un’azione efficace dovrebbe essere a livello dell’Unione europea; come ha detto, in un’intervista su questa testata il 22 settembre, l’Ing. Salvatore Carollo, il primo passo dovrebbe consistere nel mettere ordine (o forse smantellare) la cosiddetta “borsa del gas” di Amsterdam, aumentare le importazioni di gas liquefatto e dotarsi di rigassificatori, nonché sviluppare il gas italiano nell’Adriatico. In attesa che queste misure vangano applicate, la Legge di bilancio deve prevedere supporto alle famiglie e alle imprese in maggiori ambasce.
Dato il vincolo del debito pubblico, tale supporto non deve essere una spesa addizionale, ma deve essere finanziato da tagli ad altri capitoli della spesa pubblica di parte corrente: non c’è solo molto da eliminare nel cosiddetto Reddito di cittadinanza, oggetto spesso di scandali e inchieste giudiziarie, ma c’è molto da smaltire nel campo delle tax expenditures, come documentano da anni i rapporti di una commissione presso il ministero dell’Economia e delle Finanze. È senza subbio un lavoro che richiede estrema finezza per equilibrare supporto a chi è stato messo effettivamente in seria difficoltà con riduzioni di spesa a comparti che si sono assuefatti a ricevere contributi e sovvenzioni.
Per quanto attiene allo sviluppo, occorre attuare al meglio il Piano nazionale di ripresa e resilienza. Ho illustrato altrove come si possano fare “modifiche mirate” agli investimenti in quanto la forte inflazione ha inciso, e sta incidendo, non poco sui costi. L’Ue prevede la possibilità per gli Stati di modificare i propri Piani nazionali di ripresa e resilienza, fino anche a riscriverli interamente. Purché le modifiche siano giustificate da circostanze oggettive e rispettino gli stessi criteri considerati nella fase di approvazione di tutti i piani nazionali, vengano vagliate positivamente dalla Commissione europea e approvate dal Consiglio dei Capi di Stato e di Governo. Gli investimenti sono a supporto di riforme strutturali mirate ad aumentare la produttività generale del sistema Italia. Una modifica è ammissibile purché non snaturi la riforma cui il progetto di investimento fisico è di supporto. Più complesse, le modifiche delle riforme: ad esempio, una deroga alle regole per categorie come gli stabilimenti balneari e tassisti sembra ardua perché snaturerebbe la concorrenza non solo in Italia, ma nell’intero mercato unico.
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