Dopo le diatribe, per la verità non nuove, del Caucaso, si aprono nuovi conflitti anche in Asia Centrale. Mi riferisco al contenzioso tra Kirghisia e Tajikistan. Una volta che avete individuato, suppongo a fatica, dove si trovano, dovete sapere che per capire la questione bisogna fare un passo, un passettino indietro.
Il 14 settembre, nel suo viaggio verso Samarcanda, il leader della Cina ha fatto tappa ad Astana, capitale del Kazakistan. Ha voluto precisare che d’ora in poi la Repubblica Popolare Cinese garantirà l’integrità territoriale del Paese, così come finora aveva fatto la Federazione Russa nei confronti dei cinesi. Questa protezione, ovviamente, anche se non detto, si estende anche alle repubbliche ex sovietiche dell’Asia Centrale. Il fatto è che queste repubbliche non solo non sono più unite nell’Unione Sovietica, ma cominciano a mostrare le loro differenze. Il Tajikistan, ad esempio, non è un paese di lingua e tradizione turco-mongola, ma persiana. La Kirghisia è da sempre legata per molti aspetti al Kazakistan. L’Uzbekistan è una repubblica di lingua e tradizione turca, ma con zone importanti, come quella di Samarcanda e Bukara, che sono tradizionalmente tajike.
Ora è noto come l’Iran collabori, ad esempio fornendo i propri droni, con la Federazione Russa. La Kirghisia, invece, come il Kazakistan, sta chiaramente prendendo le distanze da Putin.
E se questo nuovo conflitto, per ora per fortuna limitato a contendersi i confini su desolate montagne per lo più pietrose, non fosse segno di nuovi rapporti non proprio cordiali tra Russia e Cina?
In gioco, è ovvio, ci potrebbero essere le risorse dell’Asia Centrale, scarse in Kirghisia e Tajikistan, ma preziose lungo le sponde e nelle vicinanze del Caspio.
In attesa di informazioni più chiare e di un inevitabile adeguamento del tabellone del Risiko, non vale la pena di mandare qualche inviato ad osservare ciò che sta veramente succedendo in Asia Centrale?
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