Uno scambio di esperienze, un confronto ad amplissimo raggio tra amici – giovani e meno giovani, vicini e lontani – per cercare di mettere a fuoco i tanti aspetti e problemi connessi alla esplosiva diffusione delle tecnologie informatiche, in tutti i campi, ma soprattutto nella scuola e nell’insegnamento delle discipline scientifiche.
La conversazione con Luca Botturi, docente alla Scuola universitaria professionale della Svizzera Italiana (SUPSI) ed esperto nel campo di tecnologie digitali nella formazione, offre spunti per ripensare il lavoro in classe, a tutti i livelli di scolarità, e per arricchire questa primo «schema» con esperienze realizzate.
Mario Gargantini
In campo educativo quando si parla delle tecnologie informatiche, dei nuovi strumenti per la didattica, gli insegnanti sembrano sempre all’inseguimento delle ultime novità, l’attenzione è principalmente concentrata sugli strumenti. Si riversa sulla tecnologia l’aspettativa del risultato conoscitivo ed educativo. In questo momento e in questo campo c’è una accelerazione estrema: arrivano strumenti sempre nuovi e più potenti e si trovano on line tecnologie per qualsiasi tipo di esigenza didattica, operativa e anche di singole discipline.
In questa fase di aumento veloce degli strumenti l’attenzione per noi principale non è sugli strumenti ma sulle valenze pedagogiche e conoscitive, sulle implicazioni educative e culturali di queste metodologie. «Le tecnologie sono parte della realtà e la scuola rispondendo al suo mandato educativo dovrebbe imparare a metterle a tema secondo una prospettiva che le sia propria senza seguire mode o emergenze.» (Luca Botturi sul n. 59 di Emmeciquadro).
In altre parole, occorre individuare vantaggi dal punto di vista educativo ma anche limiti, senza aver paura di denunciare rischi e possibili pericoli chiedendosi sempre, prima dell’utilizzo di uno strumento, perché, come, cosa e in che misura utilizzarlo.
In considerazione del fatto che il contesto sta cambiando, come rispondere a questa nuova situazione operativa in cui oggi gli insegnanti si trovano?
Luca Botturi
Se vogliamo parlare di digitale a scuola dobbiamo distinguere almeno due prospettive.
Una è quella che forse ci è più comune e cioè l’uso del digitale come strumento per fare insegnamento, didattica digitale: uso la LIM, lo smartphone perché mi serve per fare matematica, scienze eccetera portando alcuni elementi di innovazione. Chiaramente nel farlo favorisco anche lo sviluppo di alcune competenze pratiche e operative sull’uso di questi strumenti e magari riesco a insegnare meglio (anche se non ci sono tantissime evidenze che sia così).
L’altro emisfero è quello dell’educare alla tecnologia perché oggi è opportuno che, alla fine della scuola media o del liceo, un ragazzo sappia almeno che cosa è un algoritmo, che cos’è l’intelligenza artificiale e così via. In questo senso, conoscere le tecnologie non implica necessariamente il loro uso diretto ed è un lavoro che non si fa necessariamente con uno strumento digitale.
Su questo sfondo, l’evoluzione delle strutture tecnologiche per la scuola deve tenere conto che si tratta di un mercato contraddistinto dalla obsolescenza veloce: l’innovazione è veloce perciò c’è molta spinta ad avere sempre l’ultimo prodotto. Per esempio, oggi viene continuamente promossa la stampa 3D, a mio parere assolutamente non matura per entrare in classe. In altre parole, l’introduzione di uno strumento nella didattica richiede un percorso e quindi non può avvenire velocemente altrimenti si rischia di modellare la didattica sullo strumento e non sugli studenti o anche sul percorso che il docente stesso sta facendo.
Occorre quindi una valutazione attenta del vero vantaggio che l’uso di questi strumenti porta nella didattica digitale.
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a cura di Maria Cristina Speciani
(Redazione Emmeciquadro)
Luca Botturi
(Professore presso il Dipartimento formazione e apprendimento della Scuola Universitaria Professionale della Svizzera Italiana – SUPSI)
© Pubblicato sul n° 82 di Emmeciquadro