Il 1° ottobre rischia di essere una data di quelle da cerchiare sul calendario. Non solo, infatti, scatteranno gli aumenti delle bollette di gas e luce previsti con l’adeguamento trimestrale, da parte dell’Arera, delle tariffe per gli utenti nel mercato a maggior tutela, ma inizierà anche il nuovo anno termico. Si tratta di un passaggio chiave per il rinnovo dei contratti di fornitura di gas e quest’anno potrebbe presentare non poche criticità.
Nei giorni scorsi, infatti, Utilitalia, federazione che riunisce 450 utilities, ha fatto sapere che molti operatori hanno riscontrato difficoltà nel rinnovare i contratti con i fornitori di materia prima: o li hanno trovati meno flessibili o più onerosi o con volumi di gas inferiori al passato. Tutto questo potrebbe determinare l’impossibilità di rifornire i propri clienti o persino portare al default.
Ma anche le imprese energivore, che pure trattano grossi volumi, stanno incontrando problemi: alcune associate ad Assocarta non hanno ancora firmato un contratto di fornitura per il nuovo anno termico. E Assistal, tra le cui aziende associate ve ne sono alcune incaricate della fornitura e della gestione energetica di ospedali, scuole ed edifici della Pa, ha fatto sapere che esse potrebbero non riuscire a stipulare contratti in grado di garantire quantitativi di gas sufficienti alla regolare erogazione del servizio nel prossimo anno termico. Abbiamo quindi interpellato Michele Marsiglia, Presidente di FederPetroli, per capire cosa potrebbe succedere da sabato.
Partiamo a monte di questa catena. La materia prima, il gas necessario per far fronte al nuovo anno termico, c’è?
Sul mercato non manca, gas ce n’è in quantità, come pure il petrolio. L’importante sarà non attingere agli stoccaggi, perché si tratta di riserve strategiche, devono servire nel caso di incidenti o episodi come quello di cui si è avuta notizia martedì relativo al Nord Stream.
Fortunatamente non siamo serviti da quel gasdotto…
È vero, ma chi ci dice che non possa succedere qualche incidente in un impianto in Libia o in Algeria, aree non proprio politicamente stabili?
Ha ragione, non possiamo escludere che qualcosa di simile possa avvenire. Dunque, se la materia prima c’è, continuiamo il nostro percorso e scendiamo di un livello: le utilities che comprano il gas dai grossi fornitori per poi rivenderlo ai propri clienti. Perché si trovano in difficoltà?
Perché per acquistare il gas devono disporre della liquidità necessaria. Il problema è che per avere la stessa quantità oggi devono pagare magari sei volte il prezzo versato un anno fa. E non tutte hanno le risorse necessarie in cassa.
Non possono chiederle in banca?
No, perché c’è un altro problema: chi può garantire che le utilities, che magari oltre al gas forniscono con lo stesso contratto energia elettrica e acqua, verranno poi pagate dai loro clienti? In queste condizioni è davvero proibitivo vedersi concedere un prestito. Purtroppo le utilities si trovano nella situazione di dover pagare molto cara la materia prima e di poter fare i conti poi con la morosità dei propri utenti. È un problema che non riguarda solo quelle più piccole. Per questo alcune stanno proponendo contratti di breve durata, di tre mesi in tre mesi, così da non trovarsi totalmente scoperti rispetto al rischio di solvibilità delle imprese e delle famiglie.
Ci sono alcune imprese che hanno spiegato sui media di aver anche ricevuto la richiesta di una fideiussione bancaria da parte del loro fornitore di energia.
Credo sarebbe molto difficile per una banca concederla, perché anch’essa rischierebbe poi di non poter recuperare il credito.
Dunque, a questo punto abbiamo capito perché, strette tra necessità di liquidità e rischio morosità, le utilities rischiano il default. Scendiamo, quindi, di un ulteriore livello e arriviamo alle imprese. Se non riescono ad avere dei contratti di fornitura cosa fanno?
Se non riescono ad avere un contratto restano con un’erogazione minima garantita per un certo periodo e poi senza più nulla. Di fronte a rincari energetici, molte aziende hanno limitato l’attività già nei mesi scorsi. Potrebbero chiudere? Penso di sì. So che ci sono imprenditori che stanno usando i propri soldi, perché nel bilancio aziendale non ce ne sono più, per pagare le bollette. Il vero problema sa qual è?
Quale?
Che ci sono commesse già in fase di produzione. E da quattro mesi a questa parte le imprese di fatto producono in perdita. Senza energia capisce bene che non si potrebbe nemmeno fare quello.
Ha ragione allora chi vorrebbe che quanto meno venisse fermata la speculazione sul prezzo del TTF.
Guardi, va detta chiaramente una cosa al riguardo: sul prezzo del TTF incidono anche una serie di variabili finanziarie, che sono determinate da un’economia di mercato, e dalle mosse delle strutture finanziarie delle aziende che acquistano la materia prima perché ne hanno bisogno e di quelle che agiscono per avere una copertura finanziaria tramite i derivati. Su tutto questo impianto, poi, si innestano la geopolitica o episodi come quello del Nord Stream di martedì, per cui il danneggiamento di un gasdotto che di fatto non ci sta dando gas ha fatto comunque salire il prezzo del TTF. In questo momento tutto sembra amplificare la “speculazione”. Dunque come la si può fermare? Sul TTF martedì ci sono state variazioni significative anche in base alle dichiarazioni degli esponenti delle istituzioni Ue o di alcuni Paesi europei. Si pensa, allora, di vietare tali dichiarazioni? Il vero problema è che le aziende più strutturate possono fare operazioni di copertura finanziaria per tutelarsi da queste oscillazioni, ma le famiglie o le piccole imprese no.
Cosa ne pensa della decisione dell’Arera di non utilizzare più come riferimento il TTF, ma la media dei prezzi del mercato all’ingrosso PSV(Punto di scambio virtuale) italiano?
L’Arera dovrebbe spiegare qual è il vantaggio di questa operazione, in un momento in cui, a parte il bonus sociale per i redditi più bassi, il caro energia viene contrastato dal Governo solo agevolando le aziende e i privati cittadini a pagare le bollette dilazionate. Forse non si è capito che il messaggio che giunge dalle imprese, e presto arriverà anche dalle famiglie, è che non ci sono soldi per pagare le bollette. In questa situazione, a che serve una dilazione?
Cosa dovrebbe fare allora la politica?
Bisognerebbe prendere la Gran Bretagna come modello: la Premier Truss appena insediata ha messo un tetto alle bollette di famiglie e imprese fino al 2024. Il differenziale per arrivare al prezzo di mercato verrà coperto dallo Stato.
E per questo sono stati stanziati più di 120 miliardi di sterline. Dove li trova l’Italia cifre simili?
Con tutti i fondi per il Pnrr o quelli europei saremo capaci anche noi di trovarle. Meglio pagare oggi le bollette e semmai tra qualche anno un po’ di tasse in più piuttosto che non pagare le bollette oggi, condannare a morte le imprese, mettere le famiglie in crisi e vedere calare poi il gettito fiscale, che poi è la strada verso cui ci siamo messi, che farà perdere competitività al Paese e determinerà una grossa crisi.
Bisognerebbe allora spiegare all’Europa che quei fondi ci servono per questo.
Bisognerebbe spiegare semmai agli italiani perché i soldi per l’invio delle armi all’Ucraina si sono trovati, mentre quelli per le bollette non ancora. Visto che comunque in effetti esistono dei vincoli sulle risorse europee, lo Stato dovrebbe intervenire anche aumentando il deficit per mettere un tetto alle bollette, magari un po’ più alto di quello della Gran Bretagna, quanto meno temporaneo finché permane questa situazione. È l’unico modo per far sì che vengano poi pagate le tasse. E forse anche per evitare che vi siano problemi sociali su cui sarebbe poi complicato intervenire. Abbiamo, infatti, parlato delle difficoltà delle aziende, ma non dimentichiamo quello che può succedere nelle utenze residenziali, nei condomini: sul principale quotidiano economico del Paese è stata pubblicata la notizia che in caso di morosità protratta per un semestre, e senza l’autorizzazione preventiva dell’assemblea, l’amministratore può sospendere la fruizione dei servizi comuni suscettibili di godimento separato al condomino moroso. Non so se è chiaro, ma vuol dire lasciare qualcuno senza riscaldamento e/o acqua calda.
(Lorenzo Torrisi)
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