“Penso a questa notte, che per tanti di noi è una notte di orgoglio, di riscatto, di lacrime, di abbracci e di sogni e la dedico a quelle persone che non ci sono più ad avrebbero meritato di vederla”.
Pochi forse hanno colto queste frasi che Giorgia Meloni ha pronunciato nel suo primo ringraziamento pubblico, la notte di domenica scorsa dopo aver vinto le elezioni, addirittura prima ancora di ricordare e ringraziare collaboratori e famigliari. Parole che non hanno suscitato grande impressione neppure tra gli avversari più collaudati, ma che hanno sicuramente toccato il cuore di chi si sente o si sentiva parte di una destra per molti anni emarginata.
A chi si riferiva Giorgia Meloni? Nel momento della sua consacrazione a leader, non credo proprio che facesse un riferimento al fascismo o a una ideologia, ma piuttosto a quella comunità umana nella quale è nata e che in qualche modo è sopravvissuta negli anni, di fatto strettamente legata a quella fiamma tricolore che – del resto – è rimasta nel simbolo di Fratelli d’Italia e che ha causato tante polemiche ed ironie nell’ultima campagna elettorale.
Idealmente la Meloni ha quindi dedicato la vittoria anche alle proprie radici personali, legando il successo del 25 settembre ad una visione di continuità con una destra che fu prima del Movimento Sociale ai tempi di Almirante e poi di Alleanza Nazionale ai tempi di Fini, una comunità alla quale la Meloni non ha potuto appartenere per ragioni anagrafiche, ma alla quale ha mostrato di sentirsi legata in una sorte di continuità spirituale con un filo sottile che non è ideologico, ma identitario.
Così come nel 1994 Gianfranco Fini non poteva essere tacciato di “fascista” perché nato nel dopoguerra ed avendone preso le distanze, così la Meloni da quel fascismo storico è ancora più lontana, visto che non ha fatto in tempo neppure a vivere gli anni di piombo e le difficoltà delle due generazioni che l’hanno politicamente preceduta a destra dopo che il fascismo era già morto e sepolto. Eppure – soprattutto nei suoi anni passati alla guida dei giovani della destra italiana, una esperienza che l’ha sicuramente irrobustita creandone i tratti da leader – ha in qualche modo voluto e potuto raccogliere le testimonianze di chi aveva tenuto stretto quel filo di continuità ideale e politica.
La cosa singolare è che non è certo la prima volta che la destra vince: Alleanza Nazionale già dal 1994 era andata al governo quando – con Tatarella e Fini – aveva istituzionalizzato la sua presenza ad ogni livello, eppure anche in quegli anni la destra era in qualche modo sempre rimasta sopportata ed “ospite” nel salotto buono della politica, restando ai margini dove comunque era sempre vista con più o meno sospetto. Ma se Fini aveva “sdoganato” la destra, oggi invece la Meloni con la sua vittoria ha in qualche senso legittimato anche una comunità che fu politicamente emarginata per decenni e ha voluto ricordarne i sacrifici senza i quali lei stessa non avrebbe iniziato il suo percorso politico.
Allo stesso tempo il suo successo ha dimostrato che alla lunga certi temi non “tirano” più, soprattutto se giocati con preconcetto, retorica e formalismo. Settantacinque anni dopo la fine della guerra, con il voto di domenica ed assegnando a FdI il titolo di primo partito forse gli italiani hanno definitivamente superato ogni post-fascismo; non certo riabilitandolo, ma sostituendolo con il più generale quanto convinto “no” ad ogni regime autoritario ed antidemocratico che può concretizzarsi a ogni latitudine.
Oltretutto la Meloni sarà probabilmente la prima donna a capo di un governo italiano, con le femministe che “rosicano” perché capiscono che la rivoluzione avviene con una donna diversa da loro, eppure – anche qui – l’essere una donna e una mamma “normale” è stato uno degli aspetti vincenti che le hanno permesso di raccogliere simpatie, a dimostrazione che non è tanto questione di “genere” o di imposte “quote rosa”, ma di valore e credibilità delle singole persone.
Una piccola rivoluzione, una novità assoluta, ma che dietro di sé ha un lungo cammino.
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