A Napoli, in Campania, nel Mezzogiorno l’antico dilemma è stato risolto: meglio molto meglio l’uovo oggi che la gallina domani laddove l’uovo oggi è il Reddito di cittadinanza e la gallina domani un posto di lavoro. Questo assunto ha fortemente condizionato le elezioni politiche come si può evincere osservando il grafico lineare che mostra come il numero dei percettori sia perfettamente allineato a una certa scelta.
Il fenomeno è così evidente che molti commentatori si sono spinti a denunciare il voto di scambio: qua il sussidio e qua la preferenza al Movimento 5 Stelle. In alcuni quartieri del capoluogo campano, dove il disagio è particolarmente evidente, le percentuali sono state addirittura imbarazzanti con punte che hanno superato quota 60. Qui rassegnazione e opportunismo si uniscono drammaticamente.
Mettere in evidenza questo dato di fatto non vuol dire negare che esistano problemi di povertà e fragilità e che questi non debbano essere debitamente affrontati. Tutt’altro. Come sempre, è il modo che qualifica l’azione. E il modo prescelto, dare tutto a tutti, non appare il migliore per raggiungere gli obiettivi dati. Una riforma dello strumento è necessaria proprio se si vuole preservare l’esistenza della misura.
Su questo argomento un liberale non affetto da manie liberiste come Luigi Einaudi – economista e primo presidente della Repubblica dopo l’avvio di Enrico De Nicola – ha scritto pagine molto istruttive ammonendo sull’importanza della ricerca del “punto critico”: quel punto oltrepassato il quale qualsiasi provvedimento si corrompe e perde la sua stessa ragion d’essere fino a diventare dannoso.
La difesa a oltranza del Reddito di cittadinanza così com’è stato concepito e ancor più così com’è stato applicato non fa un buon servizio alla società che si riempie di nuovi privilegiati: i destinatari sfaticati di soldi immeritati di fronte a lavoratori che stentano ad arrivare alla fine del mese pur impegnandosi molto nelle proprie attività. Una nuova ingiustizia attraversa il Paese che inevitabilmente s’indebolisce.
Se è stato calcolato che almeno un terzo degli attuali beneficiari non abbia diritto al buono di Stato è doveroso intervenire perché si ponga riparo alla distorsione. E il primo ad avere interesse a una bonifica della pratica dovrebbe essere proprio Giuseppe Conte che da azzimato presidente del Consiglio con pochette si è trasformato in un descamisado tribuno del popolo spregiudicato e demagogico.
Certo, la disinvolta campagna elettorale gli ha dato ragione nei numeri. Ma non è solleticando i peggiori istinti della popolazione che può costruire la sua fortuna politica. Non si può condannare il Sud a un destino di nuovo assistenzialismo. Il messaggio che passa è offensivo per chi realmente soffre e per i tanti giovani che si vedono ulteriormente precluso il cammino verso un impiego produttivo.
Napoli è la città che ha premiato la promessa del sussidio con il 41% delle preferenze. Ma è anche la città che allinea 26.000 aspiranti, molti dei quali laureati, per 500 posti di spazzino all’ultimo concorso indetto dall’Asia. Un’altra faccia della desolazione che attraversa l’area metropolitana più popolosa e densamente abitata d’Italia. Per cercare e dare le risposte giuste occorre distinguere il vizio dal bisogno.
Tornando a Einaudi e al suo pensiero forte, non dovrebbero esserci contrapposizioni ideologiche di fronte a evidenze di questo tipo. Il contrasto, che resta il sale della democrazia, deve civilmente condurre a una posizione di ragionevolezza che sia in grado di trovare e apprestare le soluzioni più utili all’intera collettività. Il sistema tiene se anziché procedere per strappi ci s’industri per ricucire.
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