Poco dopo il blitz della Germania sulla protezione pubblica “sovrana” dall’inflazione da gas, Giorgia Meloni ha annunciato il ritorno formale dell'”interesse nazionale” come criterio strategico di governo a Roma. È stata peraltro abile – la Premier “in pectore” – a rammentare che l’Italia vuol affrontare “non da sola” ma assieme all’Ue la guerra delle sanzioni energetiche.
Tutto è avvenuto mentre nel cantiere del nuovo esecutivo si è riaccesa la dicotomia tecnici/politici, all’indomani di un voto che sembra aver chiuso un decennio ibrido. Le questioni sono intrecciate e la loro soluzione – Meloni ne sembra consapevole – deve tenersi al momento lontana da tagli gordiani.
Il sovranismo economico di Berlino (quello che il tedesco Marx avrebbe definito “strutturale”) non è di oggi. Sembra ieri – era l’autunno 2008 – quando all’indomani del crack Lehman Brothers la Cancelliera Angela Merkel attivò da un giorno all’altro un’assicurazione statale per 400 miliardi di euro di depositi bancari e postali. La decotta Commerzbank fu prontamente nazionalizzata: non diversamente da come, nei giorni scorsi, il Cancelliere Olaf Scholz ha deciso il salvataggio statale del colosso energetico Uniper. Quattordici anni fa il Premier italiano Silvio Berlusconi – affiancato dal governatore della Banca d’Italia Mario Draghi – poté invece mettere sul tavolo non più di 20 miliardi d’emergenza per il sistema bancario nazionale. Allora non ce ne fu (quasi) bisogno: i crack bancari italiani cominciarono solo nel 2015, dopo quattro anni di austerity imposti dall’Europa e di stress test sistematicamente punitivi verso le banche italiane e assolutori verso quelle tedesche.
La parola dei tecnocrati Ue è oggi molto svalutata rispetto ad allora; ma forse proprio per questo essi non rinunciano a esprimersi, con toni opachi e para-politici, senza mai risparmiare l’Italia. Philip Lane, membro del comitato esecutivo della Bce e capo-economista, ha invocato nei giorni scorsi un aumento della pressione fiscale “sui più ricchi” per combattere il caro energia. Ha suscitato – non sorprendentemente – un polverone. Un banchiere centrale (Lane lo è stato in Irlanda e ora lo è a Francoforte) parla di politica monetaria, di tassi. Può martellare – come ha fatto Mario Draghi nei suoi otto anni di presidenza Bce – sull’assenza di un vero “fiscal compact” Ue che integri e sostenga la politica monetaria unificata. Può dare i voti alla salute finanziaria complessiva dei singoli Stati membri dell’eurozona, comparandoli con gli altri. Non può invece assumere posizioni squisitamente riservate alla politica, tuttora riservata ai Governi nazionali. E nel merito: cosa significa “tassare i ricchi per proteggere i poveri dall’inflazione da gas”? Tassare “le grande imprese”, come i Paesi Ue stanno già cominciando a fare anche se con molte incertezze (solo le energetiche e quali energetiche)? O significa che dal vertice Bce sta giungendo un invito spiccio – anzitutto ai Paesi come l’Italia – a varare patrimoniali?
È invece lussemburghese Nicolas Schmidt, commissario Ue al Welfare. Ha la stessa cittadinanza – e la stessa autorevolezza “leggera” – dell’ex Presidente della Commissione Jean-Claude Juncker: che nel 2019, da uscente, aprì una procedura per infrazione da debito alto contro l’Italia tre giorni dopo che la Lega aveva vinto le euro-elezioni. Ebbene, all’indomani della netta affermazione di Giorgia Meloni nel voto politico italiano, Schmidt ha “avvertito” Roma di non abolire il Reddito di cittadinanza. Ancora una volta un’interferenza preventiva anzitutto indebita da parte di una figura sottoposta al “Consiglio dei ministri” nella governance Ue. Ma soprattutto un appello del tutto contraddittorio nel merito.
Il Reddito di cittadinanza è stato varato dal Governo populista formato da M5S e Lega: quello che l’eurocrazia “lussemburghese” ha tenacemente combattuto. L’esperimento italiano è stato del tutto insoddisfacente nell’esito e si è rivelato un puro espediente assistenzialista. Non ha certo guardato al Rdc Mario Draghi – eurocrate non semplicemente “lussemburghese” – nel formulare il Pnrr italiano. E la decina di miliardi all’anno di costo del “reddito” finora non hanno certo aiutato deficit e debito: che nel bilancio pubblico italiano sono ancora largamente “fuori parametro”, autorizzando un collega di Schmidt – il lettone Valdis Dombrovskis – a maltrattare sistematicamente i conti di Roma. Ma tant’è stato: il quotidiano italiano che ha intervistato Schmidt ha potuto titolare “Lo stop dell’Europa a Giorgia Meloni”, notoriamente intenzionata a rivedere dimensione e struttura del Rdc.
È comprensibile che la Premier designata stia meditando ancora a fondo sul tasso di “tecnicità” da immettere nella formazione del nuovo gabinetto. Può darsi che per fronteggiare i “chierici” di Bruxelles e Francoforte – più spaventati che ribelli – sia necessario al Mef uno di loro: come ad esempio Fabio Panetta, attuale collega di Lane nel board Bce.
Ma il vero sforzo di riequilibrio – il ritorno della “politique d’abord” – resterà verosimilmente in capo alla stessa Meloni, se sarà lei al timone a palazzo Chigi. A Berlino due decisioni pesantissime – il salvataggio pubblico di Uniper e il piano-inverno da 200 miliardi – sono state firmate direttamente dal Cancelliere Scholz. La cui piena assunzione di responsabilità politica non ha è stata ostacolata né dal ministro delle Finanze (il liberale Christian Lindner, un rigorista), né dal vicecancelliere verde Robert Habeck, programmaticamente contrario al sostegno alla “vecchia” produzione di energia. Anche da Bruxelles non sono finora giunte obiezioni a mosse che configurano un gigantesco aiuto di stato da parte del primo Paese dell’Unione.
Certo, Scholz è un socialdemocratico, non l’esponente di un partito che è stato finora all’opposizione anche all’Europarlamento. Però l’handicap, per “l’incoming Premier” Meloni, si profila già ridotto rispetto a quello che ha dovuto affrontare quattro anni fa il vicepremier Matteo Salvini. E se Mario Draghi dovesse approdare a una poltrona-chiave internazionale (il suo nome è tornato a circolare per la guida della Nato, oggi più strategica dell’Ue) è probabile che i “para-tecnici” come Lane o Schmidt avranno sempre meno tribuna e vita breve.
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