I fatti sono noti. Una settimana fa diversi sismografi hanno rilevato esplosioni nelle acque della Svezia e della Danimarca attraverso le quali passano il Nord Stream 1 e il Nord Stream 2. Alcune ore dopo sono state identificate le quattro perdite nei gasdotti che hanno significato la più grande emissione di metano della storia.
I tubi sono diventati inutilizzabili. Il Cremlino sostiene che si tratta di un attentato terroristico internazionale e suggerisce che dietro il sabotaggio ci siano gli Stati Uniti. Non ci sono prove. Ma la somma degli indizi porta a una conclusione chiara: Putin ha annesso cinque province nell’Ucraina orientale e, con l’avvicinarsi dell’inverno, vuole intimidire di nuovo gli europei. Attraverso il Nord Stream arrivava il 15% del gas consumato dal Vecchio Continente. Sarebbe interessante sapere quanti russi, dopo che è stata decretata la mobilitazione dei riservisti, accettano la versione ufficiale di Mosca. Un affetto contrariato è di solito meno predisposto alle fake news.
Degli stessi fatti si possono dare varie interpretazioni, anche divergenti. È difficile trovare qualcuno nell’Unione europea che accetti la versione di Mosca. Ma c’è chi ritiene necessario accelerare una trattativa. Dallo scorso febbraio, c’è chi ho affermato che gran parte di ciò che sta accadendo è una conseguenza degli eccessi e della mancanza di sensibilità di un Occidente arrogante. Chi mantiene questa posizione spiega quello che è successo qualche giorno fa come un chiaro avvertimento: è giunto il momento di convincere Zelensky a scordarsi di riconquistare tutto il territorio ucraino; è già stato fatto abbastanza e a un costo elevato in termini di vite umane; l’ottimo è nemico del bene; è necessario dare a Putin una via d’uscita, non dobbiamo mettere il nemico al muro; dobbiamo evitare un inverno con il prezzo del gas alle stelle. Fino a non molto tempo fa questa era la posizione tedesca.
Poi ci sono quelli che capiscono che è necessaria una completa liberazione dell’Ucraina, perché in gioco c’è l’integrità e la libertà dell’Europa, e in larga misura il futuro del mondo nei prossimi decenni. Vedono il sabotaggio e l’annessione come un avvertimento: Putin ha alzato la posta e ha dimostrato di non essere disposto a fermarsi davanti a niente e a nessuno; la negoziazione non è né impossibile, né auspicabile. Questi secondi sono in maggioranza.
Dunque gli eventi sono gli stessi, ma ci sono modi diversi di dar loro un significato. Quando si guarda o si vuol leggere un fenomeno non si parte mai da una posizione neutrale. Lo sguardo non è un processo meccanico. Ciò che si sa, ciò che si crede, influenza il modo di vedere le cose. Si vede solo ciò che si guarda e guardare è un atto di libertà. A maggior ragione se parliamo di guerra.
Finora i partner dell’Ue hanno dato un’interpretazione comune del significato dell’invasione russa. Hanno condiviso uno sguardo. E questo ha permesso di andare, a poco a poco, verso un coordinamento delle politiche energetiche. Senza questa interpretazione comune non ci sarebbe una vera unità, i Consigli dei ministri europei o la Commissione non avrebbero alcuna autorità. Se nelle prossime settimane o mesi si consolidassero sensibilità diverse, continueremmo a parlare dell’unità dei partner, ma quell’unità non significherebbe nulla.
La teoria della risoluzione dei conflitti spiega cosa succede quando la lettura dei fatti non è condivisa. Il mediatore deve riuscire a fare in modo che le due parti lascino il terreno del significato e si concentrino sull’ambito degli interessi. Non si riconosce alcuna autorità comune nell’interpretazione. L’arbitrato, infatti, non aspira a ricostruire la comunità. Non può farlo come nemmeno un’autorità esterna può riuscirci anche se gestisce le leve del potere. Ecco perché la questione decisiva è come si possa condividere il libero atto dello sguardo.
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