In una dichiarazione dell’aprile dello scorso anno, a costo di una crisi diplomatica, Mario Draghi includeva Recep Erdogan tra i dittatori, aggiungendo però che di questi dittatori “si ha bisogno”. I fatti gli hanno dato ragione, visto il ruolo di mediatore concesso al “Sultano” nella guerra tra Russia e Ucraina. Finora senza grandi risultati, perché se Erdogan e Putin hanno in comune il modo di governare i loro Paesi, molti sono i fronti su cui si trovano opposti. Si pensi, per esempio, al decisivo sostegno dato da Erdogan all’Azerbaijan nella recente guerra contro l’Armenia, alleata della Russia.
In questa guerra hanno svolto un ruolo importante i droni forniti da Ankara a Baku. I droni Bayraktar sono diventati un grosso affare per la Turchia e per l’azienda che li produce, la Baykar Defense, proprietà della famiglia del genero di Erdogan. Questi droni sono stati inviati anche all’Ucraina e vi sono accordi per la loro costruzione in loco. Secondo quanto riporta Nikkei Asia, da parte sua l’Ucraina potrebbe fornire importanti componenti per la loro produzione. Il governo turco, per evitare uno scontro diretto con Mosca, si dichiara estraneo alla questione e definisce gli accordi contratti privati tra aziende.
Il cosiddetto ruolo di mediatore è senza dubbio utile per espandere la sfera di influenza della Turchia e rafforzare la posizione di Erdogan, anche in vista delle elezioni del prossimo giugno. Il suo protagonismo sulla scena internazionale serve anche a stornare l’attenzione degli elettori dalla pesante situazione economica interna, alla quale tuttavia Erdogan sta tentando di porre rimedio. Impresa non semplice, con un’inflazione che ha raggiunto l’80% e con la lira turca che ha perso più del 20% rispetto al dollaro.
Ed ecco quindi una nuova mossa sul piano internazionale, di per sé azzardata ma resa possibile dall’acquiescenza finora dimostrata dall’Occidente e dalla Nato, di cui la Turchia è membro. Nei giorni scorsi, il governo turco ha annunciato l’intenzione di inviare nuove truppe nella Repubblica Turca di Cipro del Nord, autoproclamatasi indipendente nel 1974 e riconosciuta solo da Ankara. Nel suo territorio, secondo Al Monitor, si stima siano già presenti circa 40mila militari turchi.
La causa immediata della decisione è la cancellazione da parte degli Stati Uniti dell’embargo sulla vendita di armi alla Repubblica di Cipro, la cui sovranità su tutta l’isola è riconosciuta internazionalmente ma resa del tutto teorica dall’occupazione militare turca della parte nord. Le reazioni di Ankara sono state piuttosto dure, soprattutto verso Washington, e Erdogan ha aperto un altro fronte, che coinvolge direttamente la Grecia. L’accusa è di aver portato armi in un paio di isole dell’Egeo, a poca distanza dalle coste turche, che dovrebbero essere invece demilitarizzate. Gli Stati Uniti vengono a loro volta accusati di aver fornito queste armi e di aver incrementato la loro presenza militare in Grecia.
Si tratta di dichiarazioni dai toni estremamente conflittuali, tanto più sorprendenti essendo Turchia e Grecia entrambe membri della Nato. Peraltro, il rischio di scontri militari tra i due Paesi si è già presentato in passato, anche recente, ma sarebbe disastrosa una guerra all’interno dell’Alleanza stessa. Un’ipotesi ovviamente estrema, ma non si può dimenticare il modo in cui Erdogan ha unilateralmente affermato la sovranità turca, con la maschera della Repubblica del Nord, sui giacimenti di gas attorno a Cipro. Nel 2018, navi militari turche hanno allontanato una nave perforatrice della Saipem che stava operando in un giacimento scoperto dall’Eni e gestito con la francese Total. La concessione era stata attribuita dal governo cipriota, ma la Turchia è intervenuta pretendendo che l’area fosse in una sua Zee (Zona economica esclusiva). La Francia aveva a suo tempo mandato una nave militare, ma la questione è tuttora non risolta e non riguarda solo lo sfruttamento degli idrocarburi. Erdogan ha infatti chiesto che la Repubblica del Nord venga riconosciuta internazionalmente, sancendo così la definitiva divisione dell’isola.
Al di là delle definizioni su Erdogan, non risulta che i nostri governi si siano molto interessati alla vicenda, ennesima rinuncia a giocare un ruolo effettivo nel Mediterraneo, una volta chiamato Mare Nostrum. Aspettiamo di vedere come si comporterà in proposito il nuovo governo.
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