Il segnale più significativo della giornata è quasi in codice. Bisogna cercarlo nella nota con cui Giorgia Meloni plaude alla presenza ad Assisi del presidente Mattarella, e al suo discorso, risuonato come un forte messaggio alla pace e al senso di comunità.
Scrive la Meloni: “La presenza del Presidente della Repubblica Mattarella e l’offerta dell’olio da parte della Cei per omaggiare gli italiani che durante la pandemia hanno messo la loro vita al servizio degli altri ci ricordano l’importanza di quel forte senso di comunità che unisce la Nazione. Da qui e dalla necessità di concorrere tutti, pur nelle differenze, all’interesse nazionale è necessario ripartire per affrontare le difficili sfide che l’Italia ha davanti”.
Parole in perfetta sintonia con quelle del Capo dello Stato, e pure con quelle del presidente dei vescovi italiani, il cardinale Zuppi. Segnali di distensione e che sottintesa indicano la richiesta di una collaborazione. Naturalmente in cambio viene offerta la disponibilità a non discostarsi troppo dai valori indicati. Un esempio: sono sempre più insistenti le voci secondo cui solo una telefonata del Quirinale potrebbe convincere Fabio Panetta ad accettare il cruciale dicastero dell’Economia, lasciando la prestigiosa poltrona all’interno della Bce.
Del resto, la fase che attende il futuro governo Meloni è delicatissima, tanto sul piano internazionale (rischio di escalation nucleare nella guerra in Ucraina), quanto su quello interno, con le bollette alle stelle e il rischio di impoverimento di una rilevante fetta della popolazione italiana sotto i colpi della crisi economica. Non si può partire con il Colle apertamente contrario.
Di questi pericoli la leader di FdI sembra essere perfettamente consapevole. Da qui la necessità di muoversi con estrema cautela, soprattutto in questo tempo sospeso della politica che ci separa dalla prima seduta delle nuove Camere. Solo allora si comincerà a passare dalle parole ai fatti.
Per ora la Meloni studia i dossier e abbozza i primi atti di governo. Ha pure da tenere a bada i suoi irrequieti alleati, che sembrano alla famelica ricerca di posti. Lo testimonia la polemica preventiva intorno alla presenza di tecnici nel futuro esecutivo, avversata apertamente da Lega e Forza Italia, timorosi di vedere ridurre gli spazi a propria disposizione. Come a dire alla vincitrice delle elezioni del 25 settembre: se proprio vuoi dei tecnici, dovrai restringere il numero di posti dei tuoi fedelissimi, non i nostri. E probabilmente sarà così, anche per la scarsità di personale politico esperto proveniente dalle fila di FdI.
Per di più non è detto che le dichiarazioni bellicose e le rivendicazioni perentorie fatte a favore di telecamera corrispondano a verità. È il caso della Lega, ad esempio, dove sembra crescere la cautela rispetto a dicasteri considerati come grane e non funzionali alla creazione del consenso, come Salute, Welfare, Giustizia e Sviluppo economico, che non a caso non appaiono nella lista dei “desiderata”. Il Carroccio sarebbe piuttosto interessato a Riforme (con affari regionali, per occuparsi di autonomia differenziata), Agricoltura e Infrastrutture. Gli Interni ci sono, probabilmente più per alzare il prezzo che per reale convinzione. Salvini sa che in quella battaglia ha pochissime chanches di spuntarla. Una cosa, però, il leader della Lega non può permettersi: che sia la Meloni a scegliere i nomi dei suoi ministri.
Più coriacea, alla fine, potrebbe rivelarsi Forza Italia, specie se Berlusconi dovesse insistere su nomi che suscitano perplessità, come quello di Licia Ronzulli, e nel chiedere pari dignità con la Lega. Lui ha molto meno da perdere.
Per trovare la quadra c’è ancora tempo, e nella trattativa entrano anche le presidenze delle Camere. La premier in pectore non ha ancora accantonato l’ipotesi di dare Montecitorio all’opposizione, contro il parere del Cavaliere e di Salvini. La trattativa sarà comunque unica, ministeri e incarichi istituzionali. Impossibile disegnare diversamente gli equilibri futuri, ma questo significa che ci sarà un’accelerazione prima dell’apertura del nuovo parlamento: gran parte dei giochi, Quirinale permettendo, saranno fatti prima del 13 ottobre.
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