La vincitrice del Premio Nobel 2022 è Annie Ernaux, francese, classe 1940. Fino a 34 anni ha perseguito la carriera di insegnante: “Ho fatto la parte pratica del concorso per il Capes in un liceo di Lione, sulla collina della Croix-Rousse. Davanti a una quarta dello scientifico ho spiegato venticinque righe – bisognava numerarle – di Papà Goriot di Balzac. Dopo la lezione io e i commissari ci siamo spostati nell’ufficio del preside. ‘Ha fatto fatica a farsi seguire dagli studenti’ mi ha rimproverato l’ispettore” così inizia uno dei suoi romanzi più conosciuti, Il posto, incentrato sulla figura del padre. I romanzi della scrittrice francese intrecciano costantemente la storia privata, spesso familiare, a quella del mondo, con particolare riferimento, ovviamente, alla storia francese.
Una donna invece, in parallelo, narra la vicenda della madre; contrariamente alla tradizione del genere, però, e coerentemente col titolo, la scrittrice scopre nella madre non tanto il genitore, il ruolo materno, quanto la sua essenza di donna, dispositivo che avviene come restituzione di un aspetto che, spesso, i figli non riescono a cogliere. A completare, in un certo senso, la saga familiare, sta il romanzo L’altra figlia, una specie di lettera impossibile scritta a una sorella morta prima della sua nascita: “Questa lettera – è evidente – non è destinata a te, e tu non la leggerai. Saranno altri a riceverla, dei lettori, che mentre scrivo sono invisibili quanto lo sei tu. Eppure un residuo di pensiero magico dentro di me vorrebbe che, in maniera inconcepibile, analogica, questa lettera ti raggiungesse come la notizia della tua esistenza mi ha raggiunta una domenica d’estate, tramite un racconto di cui a mia volta non ero la destinataria”.
L’esperienza personale e familiare, dunque, come lente per l’esplorazione di quella esistenziale. Spesso il percorso di Ernaux sfiora l’indicibile, il mistero, il silenzio. Anche la consegna delle parole dello scrittore al lettore è per l’autrice soprattutto consegna del silenzio, che sembra essere anche il destino dei nostri atti e della vita: “Svaniranno tutte in un colpo solo come sono svanite a milioni le immagini che erano dietro la fronte dei nonni morti da mezzo secolo, dei genitori morti anch’essi. Immagini in cui comparivamo anche noi, bambine, tra altri esseri scomparsi prima ancora che nascessimo, nella stessa maniera in cui ricordiamo i nostri figli piccoli assieme ai loro nonni già morti, ai nostri compagni di scuola. E così un giorno saremo nei ricordi dei figli in mezzo a nipoti e a persone che non sono ancora nate. Come il desiderio sessuale, la memoria non si ferma mai. Appaia i morti ai vivi, gli esseri reali a quelli immaginari, il sogno alla storia”. Così si esprime nel romanzo più conosciuto in Italia, Gli anni.
È in questa opera che esplode in modo assoluto il metodo di scrittura che non abbandona mai: il racconto di una storia e della Storia per accumulo di fatti, per accatastamento di elementi. La Ernaux rievoca un’epoca, che può essere quella del dopoguerra o quella attuale (questa è il periodo della storia familiare e francese che questo romanzo attraversa) riportando sulla pagina indifferentemente fatti di cronaca, di politica o prodotti della pubblicità, cantanti un tempo celebri poi dimenticati, episodi di sport, di cronaca nera, di mercato, di religione.
Forse la parola chiave della sua poetica è “consumismo”: non tanto o non solo quello di cui si parlava negli anni sessanta e settanta (da noi lo ha fatto Pasolini in modo centrale) ma uno stato dell’essere che investe la scrittura stessa. Così nei suoi romanzi vengono snocciolati inventari di fatti e oggetti che servono a definire quegli anni e quella mentalità, quasi senza giudizio, a tratti persino senza racconto, come a voler dire che la nostra modernità è soprattutto accumulo insensato, affastellamento senza correlazione. Chi cerca di starne fuori deve sentirsi in colpa: “A ‘l’uscita senza acquisto’, lo sguardo del controllore sulle mani, sulle tasche. Come se uscire senza merce fosse un’anomalia sospetta. Di fatto colpevole di non aver comprato nulla”. E un suo breve racconto, intenso e tragico, trae il titolo dalla frase che una madre dice a sua figlia: Guarda le luci, amore mio. Salvo il fatto che le luci di una frase apparentemente lirica sono quelle del supermercato.
Possiamo accogliere con un sospiro di sollievo il Nobel alla letteratura di quest’anno, dopo edizioni in cui era stato assegnato a scrittori insignificanti o persino a cantautori e guitti da teatro. Certo, nessuno pensa più che il Nobel sia attribuito allo scrittore migliore del mondo. Ma Annie Ernaux è senz’altro una scrittrice valida, con una ricerca narrativa che presenta originalità e novità, uno sguardo attento sul presente e uno stile in grado di rendere duratura la sua opera.
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