Nella primavera del 1981 avvenne un fatto che rese evidente che in Italia qualcosa a livello di pensiero della popolazione era successo: il referendum per abrogare la legge sull’aborto era stato respinto con una larga maggioranza. Il settimanale Il Sabato uscì con il titolo a tutta pagina “Si ricomincia da 32”, dove 32 era la percentuale dei Sì. Quasi a voler rilanciare una modalità di presenza socio-politica dei cattolici ormai minoritaria, ma con forze ancora decise a mostrare di esistere.
Poche settimane dopo don Giussani spiazzò molti affermando “Si ricomincia da Uno”: ciascuno è responsabile di ciò che ha incontrato e per il quale vive. Una modalità di presenza nel reale che lungi dal rinchiudersi in un intimismo generò solidarietà e opere. Non strategie, ma realismo: a un bisogno si risponde con un’opera. Sia a livello nazionale – ne citiamo solo una: Famiglie per l’accoglienza, che ha ricordato la sua storia quarantennale con una mostra al Meeting 2022 – sia a livello locale.
Nella sola piccola Monza, nel 1982, nacquero tre realtà tuttora vive e operanti: la cooperativa di lavoro Iride, che dal sottoscala dell’inizio ora è partner riconosciuto e apprezzato dall’ente pubblico in un proficuo clima di sussidiarietà; il Centro di Solidarietà, per rispondere alla domanda di lavoro; il Centro culturale Talamoni (CcT), che lo scorso martedì con l’evento “Incontri che fanno la storia. Canti e testimonianze di un cammino” ha voluto ricordare i propri 40 anni di esistenza. Oltre all’aspetto musicale hanno avuto spazio anche la testimonianza del primo presidente del CcT, Bruno Gaschi, e dell’attuale direttore Augusto Pessina, a cui abbiamo rivolto alcune domande.
Quest’anno ricorre il quarantesimo di fondazione del Centro culturale Talamoni. Cosa significa per voi questo momento?
È un momento molto significativo perché ci dice che la vita è una trama di relazioni e di incontri.
E da dove trae le sue origini?
Anche il CcT è nato da questa trama che per me ha la sua radice nell’incontro con don Luigi Giussani, oggi venerabile, e del quale si celebra anche il centenario della nascita. Credo non si possa parlare del CcT senza partire da Giussani, perché da questo incontro sono poi scaturiti gli altri che in modo provvidenziale l’hanno generato e poi determinato la sua storia, a partire dal 1982.
Perché incontrare Giussani è stato importante?
Perché, almeno per me, la proposta di don Giussani era la richiesta radicale di andare al cuore delle domande esistenziali più profonde. Per lui due parole come mistero e destino avevano la M e la D maiuscola e sono state come la partenza per un cammino del quale abbiamo poi scoperto il fascino, che abbiamo scoperto essere il centro affettivo della sua vita: la persona stessa di Gesù. Per questo, l’incontro con don Giussani è stato per me e molti di noi fondamentale e decisivo per comprendere che la fede c’entrava con lo studio, il lavoro, la ragazza, cioè con tutti gli interessi, le gioie e i dolori.
Avendo quindi a che fare con la vita reale aveva a che fare con la cultura?
Sì. La cultura, in definitiva, è un tentativo di per comprendere e dare senso alla realtà e all’esistenza. È stato proprio negli anni 80 che questo suo forte richiamo affinché la fede diventasse vita e cultura trovò una formidabile sintonia in Giovanni Paolo II, che è stato allora il più autorevole e deciso sostenitore delle parole di Giussani, con la sua famosa affermazione nella costituzione della Pontificia Accademia della Cultura, ripetuta anche a Monza nella sua visita del 1983: “Una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta”.
Perché avete intitolato il centro culturale a monsignor Talamoni?
Nel 1982 in alcuni di noi emerse chiaro il desiderio di aderire esplicitamente a questo richiamo a un impegno culturale, da vivere insieme perché fosse meglio espresso che nasceva da una esperienza di amicizia e comunione. Da qui la scelta di costituire qualcosa di stabile, visibile e incontrabile, quindi un centro culturale. E discutendo di questo desiderio è stato decisivo l’incontro con monsignor Leopoldo Gariboldi, allora arciprete di Monza, che in modo provvidenziale ci suggerì Luigi Talamoni come figura più significativa cui intitolare il nostro centro. Di questo incontro siamo grati, perché conoscere la vita e la testimonianza di misericordia di Luigi Talamoni e con lui delle sue suore Misericordine ci ha rivelato lo stesso fascino e la grande affinità con l’esperienza che don Giussani stesso ci andava proponendo. Oggi, a 100 anni dalla nascita del venerabile Luigi Giussani, sentiamo ancora viva questa sintonia con il carisma di Talamoni e questa sintonia continua a essere forza generatrice delle attività del nostro centro.
È vero che il CcT ha avuto la benedizione del vescovo emerito di Milano?
Sì, il CcT è stato inaugurato con il suo primo presidente Bruno Gaschi il 18 marzo 1982 dal cardinale Giovanni Colombo, per noi motivo di grande gioia, essendo stato Colombo un alunno di Talamoni nel seminario liceale di Monza. In quella occasione il cardinale, in un magnifico intervento, ci tracciò la vita di Talamoni, ricordando la sua attenzione al bene spirituale delle persone, tanto da essere definito anche “martire del confessionale”; la sua carità verso i bisognosi – carcerati e malati – fino all’incontro con Maria Biffi Levati e alla fondazione dell’ordine delle Suore Misericordine; la sua cura per l’educazione e la cultura insieme alla sua umiltà di prete obbediente anche quando pesantemente attaccato per la sua adesione agli insegnamenti di Rosmini. Infine la sua capacità di leggere i tempi, che lo portò alla responsabilità di una presenza politica che per 25 anni ha garantito al mondo cattolico una presenza visibile in Consiglio comunale. Quando il 21 marzo 2004 San Giovanni Paolo II lo proclamò Beato – primo prete della diocesi ambrosiana a diventarlo – egli lo definì “singolare testimone della Provvidenza divina che accompagna il cammino dell’umanità”. E usò le parole del più illustre dei suoi alunni, Achille Ratti, poi Papa Pio XI: “per santità di vita, luce di scienza, grandezza di cuore, perizia di magistero, ardore di apostolato, per civiche benemerenze onore di Monza, gemma del clero ambrosiano, guida e padre di anime senza numero”.
Che tipo di attività avete svolto in questi 40 anni?
Il CcT ha proposto conferenze, corsi, lezioni, convegni, concerti, rappresentazioni teatrali, mostre, ma soprattutto incontri con personalità del mondo ecclesiastico, filosofi e storici, professori universitari provenienti dal mondo scientifico, letterario, filosofico e storico, autori e scrittori, artisti. Oltre 700 personalità dall’Italia e dal mondo ci hanno accompagnato in questi anni, aiutandoci ad approfondire un giudizio sulla realtà, o ci sono stati testimoni di una umanità affascinante perché impegnata con le sfide poste dalla storia.
Quali gli incontri e le personalità più significative incontrate?
Impossibile qui ricordarli tutti, dal professor Augusto del Noce, e Stanislaw Grygiel, filosofo polacco amico personale di Giovanni Paolo II, a Massimo Caprara, già segretario di Palmiro Togliatti, allo scrittore Eugenio Corti, al regista Pupi Avati. Inoltre da quasi 30 anni il Centro propone, all’inizio della Settimana Santa, “In cruce pro homine”, una rappresentazione sacra come momento introduttivo di riflessione e meditazione sul mistero della Passione.
Quali prospettive intravedete per il futuro?
La realtà oggi è mutata radicalmente e in questi anni è in continua evoluzione. Tuttavia confido che un’opera come il CcT, nata dall’entusiasmo e dalla determinazione di un gruppo di giovani appassionati alla realtà in forza dell’incontro con la bellezza della fede, continuerà a essere presente nella nostra città, perché una realtà senza motivo adeguato svanisce. Ma noi il motivo l’abbiamo e con il tempo e l’esperienza questo motivo si è fatto sempre più chiaro e ci ha reso sempre più consapevoli del compito a cui siamo chiamati.
Il vostro desiderio?
Vorremmo sentire come profetiche le importanti parole del cardinal Colombo in chiusura della sua inaugurazione: “Esprimo il mio vivissimo compiacimento, perché non poteva esserci dedicazione più bella per un centro culturale, perché togliendo dal pericolo dell’oblio un nome così fulgido e così profondamente inserito in un’epoca e una cultura di Monza, sarebbe stato davvero un grave danno; invece l’averlo tolto dal pericolo della dimenticanza e affidandolo alle generazioni future, esso diventerà un lievito e una forza per mirabili intraprese di questo centro culturale e faccio i miei auguri più fervidi perché ciò si avveri”. Forse non abbiamo fatto “mirabili intraprese”, ma è certo che l’augurio del cardinal Colombo in parte si è già sicuramente avverato.
(Gigi Brioschi)
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