PD NEL CAOS DOPO L’ADDIO DI LETTA: LA LUNGA STRADA VERSO IL CONGRESSO
Dopo la sconfitta cocente alle Elezioni Politiche e dopo le dimissioni “informali” di Enrico Letta da Segretario, il Pd vive una delle stagioni più complesse dalla sua fondazione ad oggi: il caos odierno è rappresentato dalla lotta intestina tra correnti e pure nelle amministrazioni locali, con un vertice tutt’altro che definito per il futuro (diversi candidati alle Primarie, nessuno ancora con una fisionomia e programma preciso) e con le alleanze per guidare il Centrosinistra ancora tutte da concepire. Il rischio, detto da più parti negli ambienti della sinistra, è che il Partito Democratico possa essere superato a sinistra dal M5s e al centro dall’asse Renzi-Calenda. «Ringrazio quanti mi hanno chiesto un impegno di più lungo periodo ma lo riterrei un errore per voi e per il partito: iniziato la mia militanza politica da giovane, sono stato ministro nel ’98 ed è giusto che il nostro partito metta in campo una classe dirigente più giovane in grado di sfidare il governo di Giorgia Meloni, una donna giovane», ha detto durante l’ultima Direzione Pd l’ormai ex segretario Enrico Letta, invocando la costituente del Congresso in 4 fasi ancora tutte da definire entro e non oltre il marzo 2023.
Bonaccini, Nardella De Micheli, Schlein, Sala e tanti altri i nomi sul “tavolo” delle possibili candidature al prossimo Congresso Pd: lo scontro però sui temi da portare avanti, l’ambiguità di fondo tra l’essere “il partito unico della sinistra che parla a tutti” o il “partito degli operai, dei poveri e delle minoranze” e anche un certo rinnovo della classe dirigente portano diversi grattacapi per le anime “big” del partito. L’appiattimento degli ultimi mesi sulle politiche del Governo Draghi – salvo poi rinnegarle a più riprese per alcuni all’interno del Pd, leggasi la polemica sul voto in Europa contro l’invio di armi all’Ucraina – ha confuso l’elettorato che non ha premiato Letta & Co.. Il deus ex machina degli ultimi anni nel Pd, il Ministro uscente della Cultura Dario Franceschini, ancora non sembra essersi esposto per far capire dove indirizzerebbe il “favore” nella prossima fase congressuale, ma già le correnti si sono trovate divise sul futuro stesso da impostare: sciogliere il partito, cambiare nome e simbolo, abolire le primarie, cambiare statuto etc.., le proposte sono tante ma emerse in maniera disparata e con una frattura piuttosto netta tra “vecchi” e “giovani” Dem e ora pure tra “uomini” e “donne”.
RISSA DONNE PD E VOTO IN UE PRO-PUTIN: IL CAOS NEL PARTITO DEMOCRATICO
Sul banco degli “imputati” in queste ore in casa Pd si trova Cecilia D’Elia, portavoce della Conferenza delle Donne Democratiche: dopo una Direzione piuttosto movimentata in tal fronte, con l’accusa della Presidente Valentina Cuppi contro il «maschilismo che regna nel nostro partito», ora viene chiesto un passo indietro a D’Elia per gli scarsi risultati ottenuti in questi anni. «Si allarga il fronte delle democratiche deluse dalla gestione del Pd in fatto di rappresentanza», si legge nel comunicato della stessa Conferenza, «Nel corso dell’Assemblea della Conferenza delle donne, è stata denunciata la debolezza di questo organismo politico, avanzando la proposta di una mozione congressuale in cui si evidenzino» punti fermi come la sconfitta elettorale e il tema delle poche elette nel Pd. «Per questo – aggiunge il comunicato della Conferenza delle donne Pd contro la scelta di Enrico Letta in Direzione – riteniamo sia una inutile operazione di facciata quella di riparare al calo delle democratiche in Parlamento attribuendo incarichi apicali alle poche elette».
Contro D’Elia e Letta si è schierata con forza la deputata Alessia Morani che sui social è esplosa: «Oggi ho reiterato la richiesta di dimissioni a Cecilia D’Elia portavoce delle donne democratiche, formulata nella direzione Pd. Lo hanno fatto anche altre donne. Lei ha detto no. Essere dirigente significa prendersi le proprie responsabilità. Male, molto male». La “rissa” tra le Dem non è però l’unico elemento di caos “nuovo” dopo l’annuncio del Congresso: «La guerra, per le responsabilità di governo che ci siamo assunti, ci ha messo in una condizione nella quale la nostra capacità espansiva è stata interrotta», aveva detto Letta in Direzione imputando il calo di consensi del Pd per l’appoggio all’Ucraina nella guerra alla Russia. Ebbene, dall’Europa arriva una tempesta non da poco sugli europarlamentari Dem: sulla risoluzione dei Verdi europei che chiedevano lo stop all’invio di armi di Bruxelles a Kiev, 7 eurodeputati su 11 del Pd hanno votato contro la linea del partito (ergo a favore della risoluzione Verdi). Si tratta nello specifico di Pietro Bartolo, Caterina Chinnici, Andrea Cozzolino, Giuseppe Ferrandino, Camilla Laureti, Franco Roberti e Massimiliano Smeriglio: dal Nazareno le critiche sono feroci e reputano come un sonoro “autogol” quello di professarsi appieno con l’Ucraina quando poi però la gran parte dei parlamentari Ue dello stesso Pd si “espongono” contro la linea del partito e più vicini alle istanze di Verdi e M5s.