Nel più assoluto silenzio e nell’indifferenza generale dei media, la Turchia ha fatto un colpo epocale, che potrebbe cambiare lo scenario non solo libico, ma soprattutto energetico nel Mediterraneo. Dopo l’accordo del 2019 firmato da Erdogan e dall’allora presidente del consiglio presidenziale libico al Serraj, con il quale i due Paesi rivendicavano il diritto a sfruttare insieme le risorse di una fascia di Mediterraneo che va dalle coste sud-orientali della Turchia a quelle nord-orientali della Libia, adesso Turchia e Libia hanno firmato un accordo ancora più esclusivo, che concede alla Turchia lo sfruttamento comune dei nuovi giacimenti individuati, la costruzione di nuovi impianti di raffinazione e soprattutto il trasporto in Turchia e verso altri Paesi, tramite metanodotti e oleodotti, di gas e petrolio già sfruttati in Libia e di quelli dei nuovi giacimenti nelle stesse stesse acque che Grecia, Egitto e Cipro rivendicano come parte delle loro Zone economiche esclusive.
“In questo modo” ci ha detto in questa intervista a Michela Mercuri, docente di storia contemporanea dei paesi mediterranei nell’Università di Macerata ed esperta di Libia,“la Turchia completa il disegno egemonico sulla Libia iniziato nel 2019 con il supporto militare di Tripoli nella guerra contro la Cirenaica. È un accordo di straordinaria importanza e di impatto negativo per l’Italia, che è colpevole di aver girato le spalle prima ad al Serraj e poi alla Libia intera, lasciando così mano libera a Erdogan”.
Cosa significa esattamente l’accordo siglato nei giorni scorsi tra Turchia e Libia?
Il memorandum di intesa firmato tra Libia e Turchia consiste di due punti. Il primo prevede la possibilità da parte turca di effettuare esplorazioni in ogni angolo della Libia, mentre il secondo punto ribadisce quanto stabilito già nel 2019, con la creazione di un corridoio marittimo esclusivo tra Libia e Turchia che interesserebbe anche le coste della Cirenaica. Il problema è che la Cirenaica non è sotto il controllo del governo di unità nazionale che ha a sede a Tripoli. Da questo punto di vista è strano il silenzio di Haftar: fa sorgere il dubbio che questo accordo possa allargarsi alla Cirenaica nonostante l’opposizione del parlamento di Tobruk. È una intesa ambigua, che va a contraddire il diritto internazionale.
Infatti Stati Uniti e Nazioni Unite hanno protestato, affermando che il governo di Tripoli, essendo ad interim, non ha il diritto di firmare accordi di tale portata, è così?
L’attuale governo di unità nazionale è stato nominato ad interim dalle Nazioni Unite in vista delle elezioni, per cui ha un ruolo transitorio, non potrebbe firmare questo tipo di accordi che hanno una validità perlomeno di tre anni. Il problema è che nessuno sa quando ci saranno le elezioni e quindi quali siano i veri limiti di questo governo. Secondo quanto stabilito dall’Onu, questo governo dovrebbe svolgere compiti di ordinaria amministrazione in attesa delle elezioni. Se queste elezioni però non ci saranno a breve, si crea un cortocircuito che andrebbe risolto a livello di Nazioni Unite, ma evidentemente le pressioni della Turchia sono state troppo forti.
Un accordo di tale portata preso da Tripoli senza consultare Tobruk porterà a una nuova destabilizzazione della Libia?
Sicuramente. In un momento in cui le tensioni sono già altissime ci potrebbe essere altra tensione, anche per via delle milizie che hanno già creato un contesto destabilizzato. Non è un accordo che in questo momento giova alla stabilità della Libia.
In concreto, quanto vale questo accordo? Cosa cambierà nello scenario del Mediterraneo?
Questo accordo, firmato nel totale silenzio e nell’indifferenza generale dei media, è un accordo di estrema importanza, perché dà alla Turchia quella proiezione marittima che da sempre cerca. Ma le offre anche una sorta diius primae noctissulla questione degli idrocarburi, perché prevede non solo trivellazioni ed esplorazioni, ma anche trasporto del petrolio libico. Paradossalmente potremmo finire a comprare il petrolio libico dalla Turchia e questa è una grave disattenzione non solo dell’Italia, ma di tutta la comunità internazionale. Non solo: la Turchia ha predisposto investimenti per 28 miliardi di euro nella ricostruzione della Libia, ha un ruolo predominante sul territorio, in mare e nelle infrastrutture.
E all’Italia cosa resta?
La Turchia ha messo le mani sulla Libia fin dal 2019, sostituendosi all’Italia. Siamo stati noi a lasciare loro campo libero disinteressandoci completamente della nostra ex colonia. Se ora volessimo tornare in gioco, dovremmo andare a bussare alle porte di Erdogan. Abbiamo commesso un errore tragico, perché in politica estera si guarda a tutti gli scenari in campo, e noi ci siamo messi a guardare solo all’Ucraina. La pagheremo in termini energetici, migratori e di importanza internazionale. Questo accordo poi ha una valenza geopolitica. La Turchia nel Mediterraneo è sempre stata isolata, mentre Grecia, Cipro e Israele hanno fatto accordi di cooperazione per lo sfruttamento delle risorse energetiche. Con questo nuovo accordo Ankara trova una strada per una più forte collocazione nel Mediterraneo e una maggiore valenza geopolitica nell’area.
(Paolo Vites)
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