È difficile non volere bene a Gianni Di Gregorio, uno di quelli per cui il confine tra cineasta e persona praticamente non esiste, che ha costruito una carriera cominciata tardivamente sul suo carattere, sui suoi modi, trasferendoli ai racconti che voleva realizzare, un po’ come Nanni Moretti o Carlo Verdone, ma più bonario (anche come attore, basti vedere il suo ruolo di papà di Mastandrea in Siccità).
Il suo nuovo film come regista si chiama Astolfo, è nel programma della Festa del cinema di Roma 2022 e racconta del signore del titolo (lo stesso Di Gregorio) che è costretto ad abbandonare il proprio appartamento in affitto e tornare a vivere nella sua vecchia casa di paese, tra le piccole inimicizie di sempre, le abitudini della gioventù e forse un nuovo amore, interpretato da Stefania Sandrelli.
Fin dal tuttora insuperato esordio Pranzo di ferragosto, l’idea di racconto cinematografico di Di Gregorio – qui aiutato in sceneggiatura da Marco Pettenello – è sempre legata a quella bonarietà di cui il personaggio è latore indefesso, e qui nel raccontare lo strapaese come fossimo negli anni ’50 – perché nella provincia profonda italiana, stando al cinema, il Concilio Vaticano II sembra non essere mai arrivato – descrive piccoli conflitti, piccoli amori, piccoli imprevisti, tutto piccolo, anche nei toni e nelle ambizioni.
Va benissimo così, per carità, quella del regista/attore è una maschera lieve che genere simpatia istantanea e che può funzionare nel momento in cui si prende per buona la sua istintività e la spontaneità ingenua della sua ispirazione; e bisogna praticamente farlo sempre e ci si finisce per chiedersi perplessi di cosa sia fatto questo film (e questo cinema), cosa voglia davvero raccontare, quali carte decide di giocare. L’umorismo è vago, la messinscena è spartana, la recitazione è immediata e quindi altalenante, il gioco del film sembra limitato a quello del contesto e delle sue maschere, però non c’è mai la sensazione che dietro Astolfo ci sia un pensiero, un’elaborazione, un perché costitutivo della ragion d’essere del film. Come se l’unico interesse di un film che svanisce quasi per caso sia voler bene al suo protagonista e autore. Per quello però bastava il ricordo dei vecchi film. O una foto.
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