La porta di Francesco. La porta da cui “entrò ricco e uscì povero”. Più che di una porta si tratta di un portale: non particolarmente elegante: pietre giustapposte senza limatura, intonacate di rosso, come si usava nell’Assisi duecentesca. Quel rosso fu ripreso proprio da Giotto come sfondo per l’episodio della spogliazione e fa pensare che la facciata dell’episcopio dovesse essere un mare vermiglio entro cui si stagliava l’arco sotto il quale passò il giovane folle, che era già andato a Foligno a vendere pezze e cavallo, facendo infuriare il padre Bernardone, mercante itinerante, ben ammanicato il Provenza.
Oggi un accurato e documentatissimo lavoro di restauro, voluto dal vescovo Domenico Sorrentino, ha permesso di ritrovare proprio quelle pietre, il muro perimetrale dell’antico vescovado, i resti della basilica di Santa Maria Maggiore, i contorni di un palazzo centrale nella vita del Santo, perché scenario della sua opzione. Già visibile e visitabile, presto sarà in un itinerario alla scoperta della scelta vocazionale di Francesco: il rinnegamento della famiglia di origine per finire sotto la paternità del Pastore. L’allontanamento da chi lo generato per scoprire la maternità di una Chiesa che, sebbene malandata e sfigurata dai peccati di molti, riesce ancora a riconoscere la profezia.
Non è una porta stretta, anche se per secoli la via francescana è stata intesa come faticosa ascesi in compagnia di sorella povertà. Francesco entra attraverso un portone, nella magnifica opulenza del Palazzo, per uscirne nudo, pubblicamente sotto la protezione dell’Istituzione, con il cuore “scavato” dalla Grazia, verso la Chiesa di san Damiano, attirato dallo sguardo del Crocifisso.
A ripercorrere questa dinamica che ha cambiato per sempre la vita della Chiesa è proprio mons. Domenico Sorrentino, il successore di quel Guido che accolse sullo spiazzo interno dell’antico complesso il giovane innamorato di Cristo, lo abbracciò con il suo pallio per poi donargli il saio, il vestito dei “servi”. In un velocissimo libretto, La porta di Francesco (Edizioni Francescane Italiane, 2022) offre una meditazione che si compone di parole poetiche, cenni storici e fonti dell’epoca. Un approfondimento di un incontro unico nella storia ecclesiale di istituzione e carisma, dove sorprende la tenerezza con cui il vescovo Guido si arrende, senza opporre resistenza, al “vento impetuoso di Pentecoste” portato dal ragazzo.
È proprio “messer vescovo” che apre le braccia e copre con il suo mantello il poverello nudo come un verme, inaugurando un rapporto che permetterà al riformatore di rivoluzionare lo status quo senza mai essere ai margini, ma sempre al centro della Chiesa. Il giudizio di Guido non è prudente, “politicamente corretto”, episodico. Accompagna con sapienza e docilità l’avventura spirituale che è solo all’inizio. Erano i mesi invernali del 1206. Potrebbe essere oggi.
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