Chi “avrà durata l’eroica fatica” di andarsi a rileggere qualche editoriale che ha caratterizzato la linea di comunicazione culturale e sociale di alcuni tra i maggiori quotidiani italiani, ma anche degli inesausti e ripetitivi talk-show di questi anni, potrà vedere nei fatti quanto quel modello di informazione sia stato lontano dalla verità e l’abbia dimenticata, colpevolmente, senza fare un minimo di autocritica, ma appiattendosi su una comunicazione frammentata, distorta e frutto di un pensiero unico trasversale che rende omogenei i principali media.
La storia narrata, quella ufficiale, è sembrata spesso più funzionale a interessi diversi da quelli che dovrebbe avere un’informazione che si possa definire indipendente, ma invece è servile e acefala; solo alcuni quotidiani più indipendenti hanno sfidato il monoblocco culturale che è sembrato sempre più essere una consunta riedizione del “Minculpop” (Ministero della cultura popolare) del ventennio fascista; termine, questo, poi paradossalmente usato dagli stessi media per definire il pensiero contrario al loro.
L’anno in corso, con la drammaticità della guerra, in continuità con i precedenti, è un esempio da manuale di questa distorta, superficiale e manipolata informazione, dettata e intimidita dai finanziatori dei media che hanno suggerito che cosa e come dirlo. L’attacco neoliberista e della finanza alla società ha reso quest’ultima più aggredibile, ha separato il potere dalla politica, relegandola in posizione subordinata, e ha usato i canali di comunicazione per la realizzazione di interessi lontani da un bene comune troppo spesso sbandierato come foglia di fico per mascherare invece un’azione lobbistica di comando e di orientamento a senso unico e non indipendente delle informazioni.
Già con il Covid l’informazione è stata dedicata più alla quantità che non alla qualità, la quale è più funzionale a porre in evidenza i problemi reali che hanno inciso profondamente sulla minore tenuta della società lasciata sola di fronte al dramma della pandemia disumanizzante che ha colpito tutti e in particolare i più deboli e tra questi i giovani e gli anziani. Il lockdown ha logorato e spaccato il sistema delle relazioni sociali, creando una disgregazione sociale a cui un’iper-informazione tutta orientata a una cronaca parcellizzata ha contribuito allo stato di isolamento, di paura e di incertezza e mai nessuno ha affrontato il tema del disagio psichico crescente che si è inasprito con continui atti di conflittualità, spesso criminali, che ora si sono accentuati con l’impatto sociale ed economico della guerra.
L’informazione quasi autistica era funzionale a un flusso continuo di informazioni quantitative solo sui dati, lasciando l’interpretazione a esperti spesso in contraddizione tra di loro, più desiderosi di apparire che interpretare i fatti; questa continua e contrastante informazione ha contribuito a creare malessere sociale, confusione e ad aumentare la paura che invece una corretta informazione avrebbe dovuto provare a stemperare.
Una società confusa è più aggredibile e manovrabile, come scriveva Gustave Le Bon nel suo lavoro Psicologia delle folle, in cui dava evidenza che una bugia ripetuta sempre diventa una verità. Sono mancate azioni di sostegno al malessere generale che avrebbe finito, come vediamo oggi, in una forma di deprivazione sociale, lasciando le persone sole di fronte al dramma quotidiano; la colpa dei media è stata di aumentare lo stato di disagio sociale, esattamente il contrario di quello che avrebbe dovuto fare per mantenere le persone socialmente legate e non lasciate indifese e aggredibili a fronte di un pensiero unico dominante.
Con il Covid sono sorti i problemi economici e finanziari che si sono aggravati con l’impatto della guerra in Ucraina, la sospensione dei flussi produttivi ha creato blocchi produttivi e situazioni di diseconomicità in molte aziende manifatturiere e di vuoti produttivi con conseguenti effetti negativi sull’occupazione e nella creazione di bisogni rimasti pericolosamente insoddisfatti. L’informazione corretta avrebbe dovuto dare rilievo, cosa non fatta, a un fenomeno così evidente che creava distorsioni nelle produzioni e vuoti lavorativi, sollecitando le politiche economiche e l’opinione pubblica a interventi atti a ridurre e contenere gli aspetti negativi che stavano minando la coesione sociale e alimentando la protesta e i conflitti sociali che avrebbero portato alle elezioni anticipate e ai risultati di capovolgimento delle maggioranze.
L’impreparazione della stampa e delle televisioni è risultata evidente quando è scoppiata la guerra, con l’invasione drammatica e ingiustificabile dell’Ucraina. È mancata la lettura della storia per fare capire le relazioni di causa ed effetto che hanno legato i prodromi dell’invasione ai fatti criminali che la stanno contraddistinguendo. Come sempre la lettura dei fatti con il pensiero unico ha diviso, spesso arbitrariamente, i buoni dai cattivi senza vie di mezzo e coloro che provavano a trovare una linea di pensiero per capire il dramma e poter arrivare a una forma di soluzione pacifica sono stati condannati dal pensiero unico dominante.
Una riflessione andava fatta sulla storia del ventennio del nuovo secolo per capire quanto l’azione di Putin derivasse dalla cultura della dominazione bellica che ha caratterizzato unilateralmente questo periodo con le drammatiche guerre in Medio Oriente, spesso create per finti e ingiustificati motivi umanitari, funzionali all’uso del potere bellico come soluzione dei mali indicati. Da qui sono nati i drammi infiniti in Afganistan, Iraq, Libano, Siria, Libia e nel decennio precedente il dramma nella ex-Jugoslavia. Queste ultime guerre si sono caratterizzate per l’alto numero di morti, quasi un milione, in gran parte civili, e in una spesa pari a più di 6.500 miliardi di dollari solo per gli Usa.
Questa è una cultura che ci porta al caos e alla fine. Un minimo di autocritica e di analisi storica andava fatta per provare a seguire una strada di pacificazione e non quello di un rialzo al gioco del massacro. Il sistema informativo si è messo le bende sugli occhi e ha generato un rialzo, rinviando di continuo la via del confronto politico anche di fronte a una giusta reazione al dramma della guerra con un crescendo di “auto-sanzioni” che hanno finito per indebolire i Paesi europei privi di una guida politica, e dotati solo di una guida burocratica.
Non ci sono state informazioni utili a spingere le parti al dialogo che, per quanto difficile, deve essere percorso e la colpevole disinformazione ha contribuito ad alimentare il vallo tra guerra e pace.
Sono cominciati a saltare nelle imprese gli equilibri tra costi crescenti e ricavi decrescenti, la aziende prive di un vero sostegno hanno cominciato a soffrire la dinamica negativa dei conti economici e finanziari, sempre messi in una lettura di secondo piano da parte dei media, che non hanno mai fatto una vera e corretta analisi di quanto il sistema produttivo italiano nei suoi territori di elezione, specie nelle aree del bergamasco e del bresciano, si sia trovato nella condizione di chiudere attività che diventavano difficili da sostenere.
Non sono state fatte analisi di costi e benefici sul rovinoso declino della manifattura italiana, che è la vera spina dorsale del Paese; i media si sono sempre tenuti a distanza, incapaci di assumere una posizione di critica propositiva e costruttiva utile a farci uscire dal dramma in cui ci troviamo.
Nemmeno è stata criticata l’azione di acquisizione da parte della finanza internazionale delle nostre imprese, sempre più facilmente aggredibili: il caso di Atlantia è da manuale delle cose da non fare. Un’informazione debole e paurosa ha favorito questi comportamenti non criticandoli, come dovrebbe fare un’informazione libera, e oggi rischiamo di diventare ostaggi di poteri più forti di noi.
Infine, l’ultima performance negativa del sistema dei media: in occasione delle elezioni politiche non ha mancato di cavalcare le possibili disgrazie finanziarie, economiche e politiche che avrebbero colpito il Paese in caso di vittoria del centrodestra. Ancora una volta una stampa ipocrita e suddita ha lanciato grida di allarme e di pericolo che, come prevedibile, si sono perse nell’aria, come cantava Bob Dylan.
È necessario provare a ricomporre le tessere disordinate del nostro sistema informativo, che si è dimostrato privo di cultura storica, di autocritica e soffocato da una autoreferenzialità sorda a ogni stimolo esterno, ma arroccata su posizioni che la storia ha già condannato. Non si può continuare in questo modo per il rischio, dimostrato in questi anni, di deteriorare il sistema invece di provare a ridurre le sterili conflittualità e l’auto-esibizionismo fine a se stesso e lontano drammaticamente dalla realtà.
La mancanza di una stampa libera diventa un pericolo per lo sviluppo di una società che abbia responsabilità e rispetto delle persone che vanno guidate, informate e messe in grado di esprimere opinioni proprie senza dover essere condannate a priori. Il percorso per una stampa libera sembra sempre pieno di buone intenzioni, ma anche di difficili ostacoli. E come scriveva Marx, le strade dell’inferno sembrano sempre lastricate da buone intenzioni.
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