Continua il bombardamento con droni kamikaze russi su Kiev e altre città dell’Ucraina. È un evidente cambio di strategia, come ci ha spiegato in questa intervista il generale Giorgio Battisti, già comandante del corpo d’armata di Reazione rapida della Nato in Italia e capo di stato maggiore della missione Isaf in Afghanistan: “Sin dall’inizio del conflitto i russi hanno colpito Kiev e molte altre città e snodi ferroviari con i missili, ma non c’era una strategia sistematica e continuativa come quella che stiamo vedendo adesso”.
Questo cambio si spiegherebbe con il fatto che “i droni costano molto di meno dei missili, che la Russia ha problemi a rimpiazzare dopo l’uso fatto, e allo stesso tempo si utilizza la strategia di tutte le guerre: cercare di demoralizzare e terrorizzare la popolazione, pensando di ottenere un effetto negativo sulle truppe al fronte. Ma, se guardiamo alla storia, questa strategia non ha mai funzionato”. Ben più preoccupante, ci ha detto ancora Battisti, è la mobilitazione delle truppe bielorusse: “Al momento al confine con l’Ucraina sono schierati 70mila soldati pronti a intervenire”.
Come si spiega che i russi stiano facendo uso solo adesso di droni, per di più come sembra evidente di provenienza iraniana? Possibile che un esercito come quello di Mosca non ne avesse a disposizione?
Da quello che sappiamo l’esercito russo aveva i droni, ma non del tipo che stanno usando adesso e che sono autentiche bombe che cadono sugli obbiettivi. Avevano dato priorità ai droni da combattimento, che servono per indirizzare i missili sugli obbiettivi, e a quelli che servono per l’osservazione, dando invece priorità all’artiglieria tradizionale e ai missili balistici a corto e medio raggio.
Cosa è cambiato?
Evidentemente si sono accorti che i missili costano molto e che la loro catena produttiva non è in grado di sostenere l’uso che ne viene fatto da mesi. Hanno pensato di usare questi droni kamikaze che costano di meno e sono anche, detto in modo cinico, più efficaci, visto che sono delle bombe volanti. Ricordiamo che alla fine della Seconda guerra mondiale i tedeschi usarono le bombe volanti V1 e V2 per colpire Londra, l’effetto è lo stesso. Quello che ha fatto scattare questo cambiamento è stata senz’altro la volontà di ritorsione dopo lo smacco subìto con l’attentato al ponte di Crimea.
Può essere che questo cambio di strategia coincida con l’ormai prossimo inizio dell’inverno e si voglia piegare gli ucraini, distruggendo le loro centrali elettriche?
Indubbiamente. È quello che veniva fatto dai tedeschi con i bombardamenti su Londra, poi dagli alleati con gli attacchi alle città tedesche e giapponesi. Cercare di minare il morale della popolazione, in modo tale che questo possa avere riflessi negativi sulla volontà combattiva delle truppe al fronte. Però è una strategia che non ha mai funzionato: gli inglesi non hanno ceduto, i tedeschi e i giapponesi neanche. I bombardamenti americani su Corea e Vietnam del Nord non hanno ottenuto alcun risultato. È una strategia che non porta ad alcun risultato pratico, anzi a una maggiore aggressività e spirito di resistenza degli ucraini.
Dall’altra parte la Nato starebbe studiando un piano di riarmo dell’Ucraina per i prossimi dieci anni, mentre l’Unione Europea ha appena stanziato altri due miliardi di euro per aiuti militari. Siamo quindi davanti a un gioco continuo al rialzo da parte occidentale?
Gli analisti internazionali valutano che il conflitto dopo l’inverno, quando ci sarà una stasi operativa per via delle condizioni sul terreno, preveda una ripresa russa a fine gennaio, quando il terreno sarà gelato e i mezzi corazzati potranno muoversi, come successo nella Seconda guerra mondiale con la grande controffensiva sovietica. Queste valutazioni lasciano presupporre una situazione conflittuale alternata da periodi di tregua fittizia per dare spazio a un dialogo fra le parti. È comunque chiaro che Nato e Ue stanno facendo in modo che l’Ucraina possa sostenere questo conflitto per anni. Si assiste infatti a un processo di trasformazione da forze armate che avevano ancora una impostazione sovietica a forze armate più occidentali, stile Nato, e questo si vede ad esempio dal fatto che c’è molta più agibilità dei comandi strategici.
Quindi nessuna possibilità di dialogo?
In ogni conflitto c’è sempre stata una forma di diplomazia parallela a quella ufficiale. In Indocina e in Afghanistan c’erano sempre trattative, mentre pure si continuava a combattere. Nel 1954, dopo la sconfitta dei francesi, i colloqui che si trascinavano da tempo hanno portato a una conclusione e così a Parigi nel 1973 con la guerra in Vietnam. Dipenderà molto dagli sviluppi sul campo che potranno dire se una o l’altra parte si sente sconfitta almeno in parte.
Negli ultimi giorni si è assistito a manovre militari congiunte tra esercito bielorusso e forze armate russe ai confini con l’Ucraina. Lukashenko ha fatto intendere che sta pensando di intervenire nel conflitto: è una ipotesi realistica?
La Bielorussia nei primi mesi di conflitto aveva dichiarato che non sarebbe scesa in campo malgrado le richieste russe. Adesso Putin evidentemente sta facendo pressione perché lo facciano.
Che apporto militare potrebbe offrire la Bielorussia? Cambierebbe le sorti del conflitto?
Da quello che si legge sarebbero stati schierati al confine 70mila soldati bielorussi più 9mila russi. È un bel contingente, che potrebbe essere impiegato per attaccare. Solo il fatto che al confine ci siano 80mila uomini pronti a combattere fa sì che Kiev debba rischierare parte delle proprie forze in quella direzione, spostando truppe dal Donbass verso il nord. Questo farebbe sì che si allenti l’attuale pressione offensiva di Kiev.
(Paolo Vites)
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