Le armi del mercato

I “mercanti di armi” criticati da Francesco non sono i contrabbandieri che smaltiscono vecchi kalashnikov. Perché la guerra è un grande affare, economico e finanziario

In polemica formalmente garbata con Papa Francesco, il politologo Angelo Panebianco ha speso un intero editoriale sul Corriere della Sera nello sforzo di smontare le tesi di quanti sostengono che “i mercanti di armi” sono fra i principali “guerrafondai”.

Le guerre – come quella in corso in Ucraina e dintorni globali – non sarebbero dunque causate, prolungate, manipolate da chi produce e commercia armi. Rimarrebbero invece la proverbiale “prosecuzione della politica con altri mezzi”. Le loro motivazioni prime e finalità ultime resterebbero nelle mani dei leader politici: principalmente degli autocrati come Vladimir Putin e dei capi di regime, come il presidente cinese Xi. I “mercanti di armi” avrebbero un ruolo puramente strumentale.

E’ – come quella del Papa – una tesi accettabile in quanto tale, ma discutibile. Nel 2022, tuttavia, il Papa sotto continuo attacco per il “pacifismo” non appare più discutibile di Panebianco, intellettuale “atlantico”, per il quale le narrazioni sulla “guerra dei mercanti” risalgono alla Prima guerra mondiale.

Bene, è proprio da allora che la guerra – da sempre un grande affare – diventa un processo economico strutturale, innervato dalla ricerca scientifica e tecnologica. L’iprite si rivela in grado di uccidere più soldati nemici di una mitragliatrice (e quest’ultima è una macchina complessa, che in Italia viene prodotta – assieme ai camion – da una start up di nome Fiat, di lì a breve primo gruppo industriale del suo paese). E’ nella Grande guerra che la radio, appena inventata dal Nobel italiano Guglielmo Marconi, comincia a cambiare le regole del gioco – così come l’aeroplano – fra guerra e pace, fra Stati e mercati. Infine, è alla conclusione della “Seconda Guerra dei Trent’anni” (fra il 1914 e il 1945) che una conflagrazione bellica globale funziona da laboratorio – da poligono – per l’energia atomica, per i jet e per i missili. E’ nella scia della guerra (anzi, nel passaggio da fase “calda” a “fredda”) che viene progettato il primo vero computer.

Enrico Fermi in via Panisperna cercava il segreto ultimo della materia, ma poté realizzare la prima reazione nucleare controllata solo a Chicago, nei giorni di Pearl Harbour. Immediatamente dopo si aprì il grande cantiere della Bomba a Los Alamos (scienziati e ingegneri nazisti non arrivarono in fondo perché non disponevano di laboratori così sicuri e risorse finanziarie, industriali e infrastrutturali così imponenti). Le due uniche bombe finora utilizzate per scopi bellici su obiettivi civili furono sganciate – anche – perché la loro costruzione aveva impegnato parecchi punti percentuali del Pil Usa (il presidente americano Harry Truman respinse l’opzione di un uso dimostrativo delle bombe, al largo delle coste giapponesi). E’ stato non per caso un generale-presidente americano – Dwight Eisenhower, il liberatore dell’Europa occidentale – a lasciare come testamento politico un celebre allarme contro “l’apparato militar-industriale” (poco dopo alla guida politica della guerra in Vietnam si ritrovò l’ex amministratore delegato della Ford, Robert McNamara).

Fra droni turchi e iraniani (od occidentali) e reti-cloud satellitari (evidentemente non solo la Starlink di Elon Musk) quanti “prodotti”, quante “innovazioni tecnologiche” stanno trovando in Ucraina un terreno unico di sperimentazione e sviluppo? Di quante grandi imprese è in gioco il futuro assieme a quello dei capitali puntati su di esse? I “mercanti di armi” – certamente quelli cui si riferisce Papa Francesco – non sono i contrabbandieri che smaltiscono vecchi kalashnikov o tank riciclati presso le milizie che da un decennio si azzuffano nel Donbass piuttosto che in Caucaso, Libia, Yemen, Timor eccetera.

Le armi del mercato restano talmente potenti da aver rimesso in discussione perfino gli Esg, i mantra della finanza responsabile: perché i gestori di fondi pensione dovrebbero continuare a bandire l’investimento in aziende produttrici di armi quando la prossima “unione” in cantiere in Europa sarà quella militare?

L’ordine di grandezza finanziario minimo si annuncia già quello del Recovery Plan, nei fatti quello di migliaia di miliardi di euro di investimenti per un nuovo sistema di difesa Ue, integrato nella Nato. Perché interrompere subito in Ucraina uno stimolo potente a un processo “diversamente di crescita”?

Senza dimenticare altre teorie storiografiche, come quella secondo cui senza la Seconda guerra mondiale il New Deal rooseveltiano non avrebbe conosciuto un esito così favorevole. E non avrebbe confermato la validità delle teorie keynesiane, volte a resuscitare le economie occidentali depresse dagli shock di un secolo fa: dieci anni di dopoguerra aperti dalla pandemia di spagnola e conclusi con il primo grande crollo di Wall Street.

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