Brutta bestia l’inflazione. Anche se qualche genio dell’economia, per mesi e mesi, ha ridimensionato l’allarme. Prima vendendoci il bicchiere mezzo pieno dell’effetto di compressione sul debito pubblico, poi sposando la tesi della sua transitorietà legata agli scompensi generati dai lockdown. Non è così. Ormai nessuno ha più il coraggio di sottostimarla. Tantomeno a livello di durata. Per capirci, la Bundesbank ha appena pubblicato uno studio nel quale vede l’inflazione tedesca in area 3% fino a tutto il 2026. Ma c’è di peggio.
E ce lo mostra questo grafico: a livello mondiale, l’inflazione ha raggiunto il record assoluto della doppia cifra. Ovvero, 10,1%. E se i prezzi in continua crescita stanno colpendo duramente il carrello della spesa dei Paesi del G7, cosa potrebbero fare sul medio periodo a economie in via di sviluppo? Quanto sale il rischio di tensioni sociali in nazioni già instabili o con governi di matrice autoritaria?
Pensate soltanto a un esempio che abbiamo sulla porta di casa: nel mese di settembre, ultimo dato disponibile, l’inflazione in Turchia ha toccato l’83,45%. Un trend venezuelano. Ora, tutti sappiamo quale sia stato finora il salvagente a cui è ciclicamente ricorso Recep Erdogan per mantenersi saldo al potere: repressione, follie sui tassi di interesse e, soprattutto, ricatto nei confronti dell’Ue attraverso l’arma dell’immigrazione clandestina. Soprattutto lungo la rotta balcanica, quella che minaccia i Paesi maggiormente a influenza tedesca come l’Austria o l’Ungheria di Viktor Orban, a sua volta campione del mondo di veto in sede comunitaria.
Ora, grazie al geniale regime sanzionatorio imposto dagli Usa alla Commissione Ue e da quest’ultima implementato in maniera acritica e parossistica, Vladimir Putin ha deciso di avanzare con la mossa del cavallo: al vertice di Astana ha proposto a Recep Erdogan di tramutare il suo Paese nell’hub europeo del gas. Di fatto, Aleksei Miller, CeO di Gazpron, ha già ventilato la possibilità di deviare sul nuovo polo i flussi da reindirizzare di Nord Stream. Di fatto, la Turchia vedrebbe raddoppiato il suo potenziale di ricatto: immigrazione, destinata a proseguire a causa di fame, carestie e continui conflitti nelle aree calde del mondo ed energia, un’emergenza che – al pari dell’inflazione – è destinata a restare con noi per molto tempo.
Nel mio articolo di ieri vi parlavo della congestione di tankers LNG al largo della penisola iberica, in totale 35. Ma la Spagna, a causa di una scarsa capacity di rigassificazione, in una settimana ne aveva scaricati solo 6. Ed ecco che la risposta è arrivata subito, in apertura del Consiglio europeo: il Premier spagnolo Pedro Sanchez ha comunicato come il suo Paese insieme a Portogallo e Francia daranno vita a una pipeline di collegamento proprio per facilitare il trasporto di quel gas dagli hub iberici al mercato europeo. Ma attenzione, al netto di smentite, Pedro Sanchez ha parlato di un corridoio di copertura prioritario che vada da Barcellona a Marsiglia. Tradotto, l’Italia dei Migliori resta tagliata fuori e costretta a puntare tutto sull’Algeria. La stessa che si è astenuta in sede Onu nel voto di condanna ai referendum di annessione russi. O, alternativamente, se la follia bellica finirà e si arrivasse a un riavvicinamento con Mosca, a dipendere in toto dal Governo turco e dalle sue bizze, stante la decisione della Germania di fare a meno di Gazprom. E, comunque, l’impossibilità di operare a pieno regime tramite Nord Stream, danneggiato in maniera seria dal sabotaggio e che Mosca pensa di poter potenzialmente riparare solo entro luglio 2023. Questo se si arrivasse a una normalizzazione. Altrimenti, tutti gli sforzi si sposteranno unicamente sul nuovo hub turco.
Ma non basta. Perché il quadro va ampliato ulteriormente. Questo grafico mostra come – con ancora oltre due mesi alla fine dell’anno – il 2022 si proponga come anno record a livello di prestiti già sborsati dal Fondo monetario internazionale a Paesi in difficoltà. E tutti sappiamo che il contraccolpo reale di crisi energetica e inflazione deve ancora colpire, finora abbiamo assaggiato solo l’aperitivo. Non fosse altro per l’ammissione implicita di questa dinamica fatta dallo stesso Fmi attraverso le sue drastiche e collettive revisioni al ribasso dei tassi di crescita per l’anno prossimo.
Bene, quando i soldi dei fondi SDR finiranno, cosa accadrà? Il Fmi varerà un nuovo aumento degli stessi? Oppure ci penserà il secondo prestatore di ultima istanza a salvare mezzo mondo attraverso prestiti a pronta cassa? Tradotto, la Cina – dopo aver colonizzato mezzo Africa – potrebbe superare del tutto il Fmi come creditore del mondo, garantendo prestiti a condizioni economicamente migliori di quelle dell’istituzione statunitense. Geopolitica da Banca centrale, poiché la Pboc può tranquillamente stampare senza dover motivare ai mercati la sua scelta: finché Pechino garantirà impulso creditizio e super-produzione di beni per le necessità di consumo Usa, nessuno farà troppe domande. E quale mezzo migliore per imporre un valore benchmark de facto e non solo formale allo yuan che renderlo la valuta del salvataggio globale?
Pechino non attende altro. Perché ci sono molti modi di imporre e far valere l’egemonia. E quello valutario ha dalla sua un duplice effetto: allontana sospetti di interventismo bellico, l’unico profilo inviso alle anime belle dell’Occidente e garantisce altresì dipendenza assoluta del debitore. Il quale, in cambio, deve soltanto mettere a disposizione di Pechino le proprie risorse naturali, ad esempio. Di terre rare, magari. O petrolio. O gas. Oppure oro. Tutto ciò che un mondo sviluppato ormai drogato di finanza e moneta senza valore del Qe perenne fino a ieri ha ritenuto come merce avariata di un passato destinato a non tornare.
Perché preoccuparsi del fossile, se c’è la svolta la green e il business ESG? Perché preoccuparsi dell’inflazione da stamperia perenne, se tanto ci sollazziamo con l’utopia delle criptovalute e le idiozie MMT o dell’helicopter money? La Cina, nel frattempo, lo yuan digitale lo sta già testando da mesi. Ma ha continuato anche a muoversi con un piede nel passato. Acquistando quei beni fossili che nessuno voleva con il badile. E ora può bruciare carbone per avere elettricità a basso costo e rivenderlo in giro per il mondo. Così il gas. Così il petrolio. E il prossimo passo rischia di essere quello che vedrà al centro della disputa le commodities alimentari di base.
Attenzione ai processi paralleli e sotterranei della crisi che sta sviluppandosi alla luce del sole, dopo mesi di negazione e sottovalutazione. Perché Xi Jinping è stato chiaro. E si è permesso non a caso il lusso di non citare minimamente la questione ucraina nel suo discorso di apertura del Congresso del PCC. Sintomo che guarda già oltre.
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