C’è chi comincia adesso a interrogarsi, con più insistenza che nel recente passato di questo Paese, che cosa abbia portato lo sconvolgimento del 1992. Adesso a forza di “andare a sinistra” o contro “la casta”, con i “magistrati impegnati” si è arrivati alla destra di Giorgia Meloni.
Questa cosiddetta “seconda repubblica”, che doveva portare efficienza, correttezza istituzionale, maggiore benessere, sicurezza e una marcata avanzata dell’Italia nel contesto internazionale, sembra attraversata, dopo una indecifrabile quantità di traversie, da un fiume carsico colmo di rabbia. Il timore maggiore è che questo “fiume maledetto” tracimi in superficie e produca danni sociali drammatici. Sarebbe proprio un bel dramma, anche per gli ecologisti che si oppongono ai rigassificatori collocati nei porti delle loro città di mare.
Pessimisti? Catastrofisti? Può darsi che noi siamo del tutto incapaci di vedere il cosiddetto “positivo”, ma se si fa l’elenco sommario di quanto è successo dall’operazione Mani pulite a oggi e si guarda ai risultati, vengono i brividi alla schiena, sia per quanto riguarda la capacità dei nuovi interpreti della politica, sia per quanto riguarda anche il livello della classe dirigente imprenditoriale di questo Paese.
Alla vigilia delle elezioni del 1994, quando la sinistra di Achille Occhetto battezzava la sua coalizione “una gloriosa macchina da guerra”, a sorpresa vinceva Silvio Berlusconi, editore di tre televisioni, che aveva sentito parlare di politica per curare soprattutto i propri interessi. Cominciava così il gran ballo piuttosto sgangherato dell’Italia della cosiddetta “seconda repubblica”.
Cominciava di fatto l’epoca della grande incertezza, contrabbandata con rara ipocrisia per una strada ricca di positività. La nuova classe dirigente che emergeva, dopo la “pulizia” fatta dai magistrati, veniva dai “nipotini di Breznev”, dai cattolici con lo sguardo a sinistra (oltre il riformismo socialista) e da alcuni imprenditori che volevano far capire “come si fa politica” raccogliendo i nipotini della vecchia destra italiana. Cose da far venire i brividi alla schiena.
Per trent’anni si è andati avanti con partiti dal nome bucolico o di tipo stravagante. Governi di breve durata, governi tecnici (che nessun giurista sa spiegare) e governi imprecisabili, con maggioranze ribaltabili e inattendibili. In sostanza, la politica non ne ha azzeccata una che è una.
Il grande polverone politico, con il concorso di un’informazione che sembra dedita soprattutto alla disinformazione (come del resto è nella storia di questo paese, che manipola addirittura volutamente la propria “Storia”) si è al momento concluso con una improvvisa e decisa svolta a destra (neppure il governo Andreotti-Malagodi del giugno 1972 sfiora per un attimo tanto spostamento verso destra) che ha deciso il nuovo esecutivo in due giorni e ieri mattina ha giurato per entrare in azione.
Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, quando ha congedato venerdì pomeriggio Giorgia Meloni, ha detto che questa volta si è fatto più velocemente del solito sia per la chiarezza della maggioranza uscita dalle urne, sia per le necessità di cominciare il lavoro per i problemi che deve affrontare il Paese.
Si resta veramente sconcertati di fronte a un simile cambiamento di rotta politica dopo le prediche speranzose di Prodi, D’Alema, Bersani, mentre il Paese sta vivendo uno dei momenti più difficili della sua storia dall’ultimo dopoguerra, sopratutto dal punto di vista di vista economico e sociale. E si resta allibiti anche di fronte alle visioni da “novella televisiva” di Silvio Berlusconi.
Se l’Italia non cresce economicamente di fatto più dall’inizio degli anni Duemila (dopo i tormentati anni Novanta), oggi emerge tra i tanti dati negativi un fatto che toglie quasi il respiro: circa il 70 per cento dei giovani italiani che crescono in una famiglia povera sono destinati a restare poveri per il resto della loro vita.
Non stiamo parlando quindi solo delle bollette di gas e di luce, dell’emergenza energetica e di tutte le altre emergenze che sono sotto gli occhi di tutti, con una precarietà sul lavoro e un welfare sempre più ridotto che farebbe inorridire Lord Beveridge (l’inventore del Welfare State). Sappiamo tutti degli effetti tragici che ha portato l’invasione della Russia in Ucraina e della conseguente guerra che appare come un incubo e che divide addirittura il leader storici del centrodestra dal nuovo destra-centro. Sappiamo ormi tutto di questo, ma guardiamo con angoscia tutte queste cose, avvenute con una trascuratezza politica incredibile nell’Occidente dove la storia “era finita” e il neoliberismo trionfava. E le guardiamo con più apprensione per gli effetti che provoca sul cosiddetto “ascensore sociale” che a questo punto non esiste più o è ridotto all’osso.
Stiamo infine parlando della speranza che è evaporata nella società italiana e si è appunto aggrappata a una soluzione di destra-centro perché la sinistra, quella ereditata dalla “questione morale” e dal cattolicesimo di sinistra, è stata solo capace di pasticciare, di non risolvere i vecchi problemi italiani e di non risolvere quelli nuovi che si presentavano inevitabilmente. Insomma trent’anni buttati al vento dalla sinistra, aiutata dall’alternativa di un incapace politico come il cavalier Berlusconi. Quello che nel 1994 offriva ministeri a personaggi come Di Pietro e Davigo e che in questi giorni non ha trovato altra soluzione che far diventare Vladimir Putin un autore di lettere “dolcissime”. Siamo praticamente al delirio confusionale.
La svolta adesso è di tale portata che mette l’Italia nel suo momento di più grande incertezza. O il governo Meloni riesce a restituire un minimo di sicurezza su tutti i problemi, o il fiume carsico di cui parlavamo all’inizio tracimerà impetuosamente.
E non ci sarà alcuna sinistra riformista a contenerlo, non ci sarà un Cavaliere che straparla più che volentieri, soprattutto nei momenti più delicati, per promettere l’impossibile e l’irrealizzabile. E non ci saranno neppure sindacati e partiti in grado, dopo essere stati disertati e dimenticati dai cittadini, a porre un freno a una crisi devastante.
La speranza, si dice, è l’ultima a morire, ma ci vuole un gran fegato ad adattare questo aforisma all’Italia, dopo trent’anni gettati al vento. Noi ricordiamo Leonardo Sciascia quando diceva che quando si arriva sul fondo non è vero che si risale, si può andare ancora più giù. Questa volta il rischio si può toccare con mano.
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