La storia del sindacalismo italiano presenta tratti di strada unitari e periodi di divisione. Fermandoci al periodo post-bellico abbiamo la rinascita del movimento sindacale come un unico sindacato. Seguendo però le svolte della politica, con la formazione delle maggioranze senza le sinistre e poi con i risultati delle elezioni del 1948, anche il movimento sindacale si divide.
Nell’arco di pochi anni dal corpo unitario si stacca la Cisl e poi nel ’50 la Uil. Nel corso di questi 72 anni, tralasciando la successiva nascita di sindacati che si rifanno alla destra storica e sigle sindacali che si rifanno all’estrema sinistra, la conformazione del movimento sindacale ha mantenuto nelle tre sigle storiche la gran parte dei lavoratori iscritti al sindacato.
Con la fine degli anni Sessanta – con le grandi iniziative sindacali che fra il ’66 e il ’70 segnano una svolta nelle relazioni industriali – vi è una spinta alla riunificazione delle grandi centrali sindacali. Alla base vi è il salto di qualità delle rappresentanze aziendali, le elezioni di delegati che vanno oltre le appartenenze sindacali e le piattaforme unitarie su cui si va alla contrattazione segnano una svolta. Assieme alle spinte puramente sindacali vi è una presa di distanza dalle appartenenze partitiche. Da collegamenti diretti fra componenti sindacali e partiti si va verso una sempre più accentuata autonomia delle organizzazioni dei lavoratori. A partire da metalmeccanici e chimici prende piede l’obiettivo di andare a una riunificazione di tutte le organizzazioni e si arriva a formare un coordinamento confederale unitario.
L’esperienza unitaria non decolla e dopo un po’ di anni diventa una sovrastruttura obsoleta che viene accantonata quando si arriva a posizioni fortemente diverse di fronte alla revisione del meccanismo della scala mobile approvata dal Governo Craxi. Contro tale riforma il Partito comunista promosse un referendum dove venne sconfitto. La Cgil, che seguì la linea del Pci, con la contrarietà della componente socialista, riuscì a mantenere la propria unità, ma le divisioni con Uil e Cisl si accentuarono. Da allora possiamo dire che i sindacati hanno marciato divisi cercando poi di colpire uniti nei momenti topici dei rinnovi contrattuali e dei confronti con i Governi.
Nel frattempo i cambiamenti avvenuti nell’organizzazione del lavoro e nella struttura produttiva, l’impatto prima della terziarizzazione e poi della digitalizzazione, hanno inciso profondamente sulla sindacalizzazione. Non è un caso che oggi in tutti i sindacati la componente dei pensionati risulta essere la più numerosa. Oltre a un calo della sindacalizzazione dei lavoratori vi è anche un crescente distacco fra appartenenza sindacale, scelte ideali e identificazione politica. Con le ultime elezioni il voto prevalente dei lavoratori dipendenti è andato a liste del centrodestra e talvolta iscritti al sindacato di sinistra si sono espressi per indicazione di voto a movimenti populisti o sovranisti. La stessa bassa partecipazione al voto trova un largo consenso fra le fasce più basse di lavoratori dipendenti. Si apre pertanto un grande problema di rappresentanza che riguarda le forze politiche, ma che interroga pesantemente anche le organizzazioni sindacali.
La fase della rottura degli strumenti di intermediazione che avevano caratterizzato gli anni ’90 hanno rischiato di impoverire la ricchezza di corpi intermedi che è stata uno dei punti di forza della società civile italiana. Le organizzazioni sindacali ne sono tuttora fra le componenti più importanti e significative. Questo ruolo si è anche rafforzato con lo sviluppo di servizi alle persone che, nati per servire agli iscritti, sono stati estesi a tutti i cittadini. Spesso nelle ultime elaborazioni sindacali si fa riferimento direttamente agli interessi dei cittadini tutti e non solo ai lavoratori rappresentati dalle organizzazioni sindacali.
Questa situazione di indispensabile ripresa della rappresentanza e della volontà di tornare a esercitare un ruolo di rappresentanza sociale che vada oltre i soli iscritti sta portando a un ritorno del dibattito su un percorso che porti a una confederazione unitaria.
È stato durante il congresso Uil di settimana scorsa che il Segretario generale della Cgil ha rilanciato la proposta di riaprire un percorso unitario. Ha motivato la proposta partendo dalla necessità per il sindacato di assicurare una rappresentanza a quanti sono profondamente sfiduciati e si estraniano sia dalla partecipazione politica che da quella sociale. A ciò aggiunge il giudizio sulla fase economica di un capitalismo sempre più finanziarizzato che porta a maggiori diseguaglianze e non può risolvere i problemi di sostenibilità sociale e ambientale che stanno caratterizzando questo periodo storico. Su questa linea ha trovato il consenso della Uil, ma è la posizione della Cisl che è determinante per riaprire la stagione unitaria. La risposta arrivata durante il congresso è stata di fermo rinvio di un obiettivo così ambizioso invitando tutti a impegnarsi per ora sulle piattaforme unitarie già concordate e rinviando ogni altra considerazione.
La fuga in avanti del Segretario generale della Cgil si basa certo sulla constatazione che una situazione di grande cambiamento come quella in corso meriterebbe una maggiore unità delle rappresentanze dei lavoratori. Presenta, però, ancora tutti i tratti di una cultura che vede nel conflitto la base delle iniziative da sviluppare. Alla base di un nuovo processo unitario non può che esserci un confronto su come si considera il lavoro oggi. Se le tutele devono difendere il lavoro e i lavoratori nel mercato o dal mercato, se si vuole aprire una nuova fase di partecipazione dei lavoratori alle scelte economiche del Paese e delle imprese o se si considera la partecipazione dei lavoratori un errore.
Le caratteristiche della crisi che viviamo richiedono uno sforzo perché si superino egoismi e corporativismi per definire un patto per lo sviluppo che veda unite le sigle sindacali. Lo sforzo per un rinnovamento ideale chiede però chiarezza e disponibilità ad abbandonare posizioni che privilegiano la conflittualità al confronto.
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