L’omicidio del magistrato Bruno Caccia, procuratore capo di Torino, avvenne nel 1983 in una via del capoluogo piemontese. Alla sua storia è dedicata la puntata di Cose Nostre intitolata “Il coraggio del giusto“, in onda su Rai 1 il 31 ottobre alle 23.35. Recentemente le indagini sul delitto sono state riaperte, complici, riporta Ansa, alcune dichiarazioni di Rocco Schirripa, l’uomo condannato all’ergastolo in via definitiva per la morte di Bruno Caccia.
All’epoca del suo assassinio, avvenuto sotto la sua abitazione mentre portava a spasso il cane, Bruno Caccia ricopriva un ruolo apicale nella Procura della Repubblica locale, noto per la determinazione e l’intransigenza con cui era solito lavorare. L’agguato ai suoi danni si sarebbe consumato la sera del 26 giugno e Emilia Brandi ripercorre le tappe della vicenda nel nuovo appuntamento del programma trasmesso sulla rete ammiraglia Rai. Dal delitto alle prime rivendicazioni delle Brigate Rosse, passando per il processo e le condanne, l’omicidio del magistrato Bruno Caccia, secondo gli inquirenti commesso con la regia della criminalità organizzata, continua a sollevare interrogativi.
L’omicidio di Bruno Caccia a Torino nel 1983
Fu la ‘ndrangheta, secondo gli inquirenti, a muovere le trame del delitto di Bruno Caccia, il magistrato allora procuratore capo di Torino ucciso nel capoluogo piemontese la sera del 26 giugno 1983 in via Sommacampagna, mentre portava spasso il suo cane. Caccia fu ucciso sotto la sua abitazione da un commando e, stando alla ricostruzione cristallizzata a giudizio, dietro la sua morte sarebbe acclarata la firma della criminalità organizzata.
Un anno dopo l’omicidio, nell’estate 1984, il boss catanese di Cosa Nostra, Francesco Miano, avrebbe deciso di collaborare con la giustizia imprimendo così una svolta alle indagini sul delitto di Bruno Caccia. Come ricostruito dalla trasmissione Cose Nostre su Rai 1, Miano avrebbe raccolto in carcere alcune confidenze di Domenico Belfiore, boss di ‘ndrangheta, registrandole con un particolare dispositivo. Belfiore sarebbe stato così individuato quale mandante dell’omicidio di Bruno Caccia e successivamente sarebbe stato condannato all’ergastolo. Nel 2015 l’arresto di Rocco Schirripa, panettiere calabrese residente a Torino accusato di essere l’esecutore materiale. A suo carico una condanna all’ergastolo in via definitiva. Poco dopo l’omicidio del magistrato Bruno Caccia era arrivata una prima rivendicazione dalle Brigate Rosse, poi smentita nelle settimane successive da alcuni terroristi detenuti.
Riaperte indagini sul caso Bruno Caccia
Nel luglio 2022 la notizia di una riapertura delle indagini sul caso Bruno Caccia. La Procura generale di Milano, riporta Ansa, avrebbe disposto nuovi accertamenti sull’omicidio del magistrato a seguito di alcune dichiarazioni rese dal presunto esecutore materiale, Rocco Schirripa, al procuratore generale Francesca Nanni. Schirripa, condannato all’ergastolo in via definitiva nel febbraio 2020 per la morte di Bruno Caccia, avrebbe fornito elementi degni di interesse investigativo nell’ambito di un fascicolo riguardante approfondimenti supplementari sui fatti di Torino del 26 giugno 1983.
Quella sera, una domenica, concesso un giorno di riposo alla scorta, Bruno Caccia sarebbe stato affiancato da un’auto intorno alle 23.30, vicino alla sua casa torinese, mentre portava a passeggio il cane. A bordo della vettura, una Fiat 128 di colore verde, sarebbe stata indicata la presenza di almeno due uomini. Il magistrato sarebbe stato raggiunto da una raffica di colpi, 14 secondo la ricostruzione, di cui alcuni esplosi a distanza ravvicinata. Le indagini si concentrarono inizialmente sulla pista terroristica, anche a seguito di una sorta di rivendicazione arrivata per telefono ad alcune testate giornalistiche, ma ben presto il fuoco investigativo avrebbe virato su un’altra direzione portando poi all’esito giudiziario definitivo.