Il caso di Samuel Tamburini è stato affrontato in occasione dell’ultima puntata di “Lombardia Criminale”, trasmissione di Antenna 3. In particolare, è stata mandata in onda l’intervista realizzata alla sorella del 44enne scomparso da due anni, Gaia: “Nel momento in cui è uscito di casa, abbiamo pensato che volesse stare un attimino da solo e volesse riprendere in mano la sua vita. Quindi, per qualche giorno l’abbiamo lasciato stare. Lo abbiamo cercato telefonicamente, ma il fatto che avesse il telefono spento e non rispondesse non ci ha dato grosse preoccupazioni”.
Trascorsa una settimana, considerato che il telefono era sempre spento e che, per il suo carattere, “non era da lui un silenzio così lungo”, i suoi familiari si sono rivolti ai carabinieri di Monza, che “hanno preso la denuncia di allontanamento volontario, poi trasformata in scomparsa a maggio soltanto sotto nostro insistente richiesta. Abbiamo chiesto la possibilità di tracciare i movimenti di mio fratello attraverso la verifica delle celle telefoniche, ma ci è stata negata inizialmente perché era un allontanamento volontario e, anche dopo la trasformazione in scomparsa, questa opportunità non ci è mai stata data. Quella ricerca delle celle telefoniche probabilmente ci avrebbe risparmiato due anni e mezzo d’angoscia”.
SAMUEL TAMBURINI, LA SORELLA GAIA: “CREDO CHE SIA MORTO NELLA SETTIMANA DEL SUO ALLONTANAMENTO”
Successivamente, di fronte alle telecamere di “Lombardia Criminale”, la sorella di Samuel Tamburini ha asserito: “Io credo che mio fratello sia morto subito, nella settimana del suo allontanamento, altrimenti qualcuno lo avrebbe sicuramente notato. Lui era socievole, si fermava e chiacchierava con le persone. La parola suicidio non l’ho mai pronunciata e non ci credo”.
Il 26 agosto sono stati trovati alcuni resti in un’area sopra il Lago di Garda e, ha spiegato la sorella di Samuel Tamburini, “siamo stati contattati per il riconoscimento dei resti personali. Abbiamo chiesto di essere accompagnati in quel bosco e, passeggiando, abbiamo trovato i pantaloni di Samuel e un osso. Ci siamo sentiti abbandonati dalle istituzioni: senza l’associazione ‘Penelope’ avremmo seppellito mio fratello a inizio settembre, perché per la Procura di Rovereto era da seppellire senza un esame del Dna, senza nulla”.