“Negoziereste con Hitler e Stalin?“, chiese il primo ministro polacco ai leader che tenevano contatti con Vladimir Putin, a partire da Emmanuel Macron, nella speranza, poi rivelatasi vana, di scongiurare prima e fermare poi l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Ma negoziare con il “diavolo”, per quanto possa essere sgradevole, è necessario per salvare delle vite. Sul tema si è soffermato Pierre Hazan, ex giornalista di Libération che ora è consulente del Centro per la cooperazione internazionale per il dialogo umanitario a Ginevra. Ha pubblicato, infatti, il libro “Negoziare con il diavolo” in cui ha affrontato il tema partendo dalla sua esperienza di mediatore.
“Quando ho lavorato nella mediazione, mi sono trovato di fronte a persone responsabili di crimini di guerra. Non potevo più denunciarli con la mia penna. Ho dovuto dialogare con loro per cercare di salvare vite umane o per avanzare in un processo di pace. In questi casi, prevale l’etica della responsabilità“, spiega a La Croix. Tutti vorrebbero vivere in un mondo di pace e in cui la giustizia è garantita e immediata. Ma ciò non è sempre possibile. “La ricerca dell’efficienza implica dei compromessi. Ma questi compromessi non devono essere fatti a spese delle minoranze o di altre parti della popolazione“, precisa Pierre Hazan. Il rischio non è solo quello di passare da un compromesso all’altro, ma “persino a una forma di complicità con gli autori dei crimini di guerra“. Per questo per Hazan è fondamentale “avere una bussola morale e chiedersi costantemente se stiamo facendo la cosa giusta“, chiedersi sempre se ciò che facciamo è accettabile o meno in nome dei principi che ci guidano.
“STRUMENTALIZZAZIONE DEL MEDIATORE VA DISTINTA DA MANIPOLAZIONE”
La mediazione può avere obiettivi diversi, come dimostra la guerra scatenata dalla Russia in Ucraina. “Può essere parte di un processo di pace o avere obiettivi più limitati, come la conclusione di un cessate il fuoco o la fornitura di aiuti umanitari alle popolazioni sotto assedio o sotto il controllo di un particolare gruppo armato. Prendiamo il caso del conflitto russo-ucraino: la mediazione della Turchia e delle Nazioni Unite ha permesso l’esportazione di grano ucraino e russo, evitando così una carestia in Africa“. Nell’intervista a La Croix Pierre Hazan si sofferma anche sulle insidie da evitare quando vi è una mediazione. “Se le parti in conflitto accettano una presenza esterna, è perché questa serve loro… quindi c’è, in ogni caso, una forma di strumentalizzazione del mediatore che è accettabile, che va distinta dalla manipolazione, che non lo è”.
L’altra sfida consiste “nel non partecipare alla legittimazione di gruppi armati o governi che violano impunemente i diritti umani“. Un altro dilemma riguarda lo spostamento forzato delle popolazioni, che è un crimine di guerra. “È necessario coinvolgere terze parti come le Nazioni Unite o il Comitato Internazionale della Croce Rossa in queste politiche di sfollamento forzato per umanizzarle e salvare vite umane? La questione si è posta in Bosnia a metà degli anni ’90 e, più recentemente, in Siria”. Ma Pierre Hazan svela anche un’ipocrisia dei governi occidentali: è vietato ogni dialogo con le organizzazioni definite “terroristiche”, ma si affidano a mediatori privati “per aggirare i divieti che si sono imposti! Fortunatamente, alcuni governi non sono così timidi“.