Governo Meloni sottoposto allo “stress test” internazionale dei salvataggi in mare. La nave Ocean Viking è attualmente diretta verso la Francia, dopo un colloquio nella serata di ieri tra Giorgia Meloni e il presidente francese Emmanuel Macron. L’Italia sta tentando di far applicare ai Paesi europei quella solidarietà nell’accoglienza che non è prevista dalle leggi europee, come forse dimostra la piccata denuncia di Parigi, che ha definito “inaccettabile” il comportamento dell’Italia verso la nave di Sos Méditerranée.
Ma questa è solo una faccia della medaglia. Perché alle altre navi, invece – Rise Above, Geo Barents e Humanity 1 – è stato infine consentito di sbarcare gli immigrati. Una decisione in apparente contrasto con quella iniziale di interdire lo sbarco, per poi ripiegare sul via libera all’ingresso allo scopo di verificare e soccorrere i casi vulnerabili, respingendo gli altri.
Abbiamo fatto il punto con l’ammiraglio Fabio Caffio, esperto di diritto internazionale marittimo. Secondo Caffio occorrerebbe cambiare un decreto del governo Conte 2 e firmare una convenzione Sar con Parigi. Ecco perché.
Eravamo di fronte a “sbarchi selettivi” come tali incostituzionali?
Le selezioni implicano purtroppo un coefficiente di discrezionalità. A valutare i profili di incostituzionalità è stato un ex presidente della Consulta come il professor Flick.
La linea del governo (soccorrere i fragili, respingere gli altri in quanto immigrati illegali) è fondata?
I fragili rientrano a pieno titolo nel novero delle persone da far sbarcare sulla base del principio di necessità. Peraltro a questo ha fatto ricorso la magistratura per giustificare l’ingresso in porto di navi Ong sin dal caso del 2006 della “Cap Anamur” di bandiera tedesca. Penso che in relazione a quanto ora sta accadendo si sarebbe dovuto considerare che la legislazione emanata dal precedente Governo ed ancora applicabile (art. 1 co. 2 Dl 130/2020) al riguardo non discrimina. Si legga la norma qui riportata.
Cosa dice?
Cito: “quando si concretizzano le condizioni di cui all’articolo 19, paragrafo 2, lettera g), della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (…) limitatamente alle violazioni delle leggi di immigrazione vigenti, il Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro della difesa e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, e previa informazione al Presidente del Consiglio dei ministri, può limitare o vietare il transito e la sosta di navi nel mare territoriale (…) Non trovano comunque applicazione le disposizioni del presente comma nell’ipotesi di operazioni di soccorso immediatamente comunicate al centro di coordinamento competente per il soccorso marittimo e allo Stato di bandiera ed effettuate nel rispetto delle indicazioni della competente autorità per la ricerca e soccorso in mare, emesse in base agli obblighi derivanti dalle convenzioni internazionali in materia di diritto del mare nonché dello statuto dei rifugiati”.
Quindi?
Questa è la norma che va applicata. A meno di non ritenere che tale norma sia inapplicabile perché nessun centro di soccorso, né italiano, né maltese, né libico sia intervenuto a coordinare le Ong. Una maggiore chiarezza sul punto sarebbe necessaria per comprendere meglio la vicenda.
Vuol dire che sarebbe meglio cambiare quel decreto?
Voglio dire che se la applichiamo nella sua formulazione attuale rischiamo di contraddire le finalità di selezionare le persone da accogliere. Oltretutto la norma riguarda una materia – quella del transito inoffensivo nelle acque territoriali – che ha una portata, relativa alla sicurezza nazionale, più vasta rispetto alla sola questione migratoria. Senza una disposizione specifica come quella oggi prevista l’autorità giudiziaria valuterebbe di certo l’applicabilità dell’attenuante penale dell’adempimento del dovere/stato di necessità, già stabilita nel codice penale, a chi entra con migranti nelle nostre acque territoriali.
Se la legge impone allo Stato di cui batte bandiera la nave che ha effettuato il salvataggio di farsi carico delle persone soccorse, perché tutto questo sta avvenendo?
Questo è vero solo in parte, nel senso che l’art. 94 dell’Unclos (Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare) che stabilisce il principio della giurisdizione del Paese di bandiera (“genuin link”) impone un controllo di questo sull’operato della propria nave ed una partecipazione attiva alle vicende che la riguardano. Insomma, si tratta di un principio da interpretare caso per caso. Correttamente noi abbiamo cercato di coinvolgere per esempio la Germania nella vicenda della nave Humanity 1 chiedendo il massimo, e cioè che la Germania si facesse carico dello sbarco delle persone trasportate.
Ma senza risultati.
Personalmente, penso che Berlino, piuttosto che risponderci di farli sbarcare velocemente, avrebbe potuto cooperare con noi per la scelta di Place of Safety (Pos) alternativi all’Italia o concorrenti con noi. Credo quindi che il confronto diretto tra l’Italia e le Ong sia in parte inappropriato. L’Italia giustamente cerca un’interlocuzione diretta, come si conviene in ambito internazionale, con gli Stati di bandiera.
La Commissione ha ribadito che vi è il “dovere morale e legale di salvare le persone in mare, in base alle leggi internazionali”. Ma perché ci sia salvataggio deve essersi verificato un naufragio. Possono definirsi tali gli eventi che avvengono in acque Sar libiche o internazionali, quando le navi delle Ong trasbordano gli immigrati?
Una cosa è il naufragio vero e proprio con la perdita dell’imbarcazione, un’altra è il “pericolo” (distress) che è alla base di un intervento di soccorso. Sul concetto di distress esistono visioni discordanti, ad esempio, tra Italia e Malta.
Ce le può spiegare?
Noi riteniamo che vadano soccorse le imbarcazioni che, anche se non fanno una “distress call”, sono oggettivamente in situazione di pericolo per le condizioni meteo, perché sovraccariche o semplicemente perché – come accade nella gran parte dei casi – “unsafe”, cioè inidonee a navigare.
E Malta?
Malta adotta un’interpretazione più restrittiva, volta ad agevolare – magari con assistenza logistica – la navigazione di chi attraversi la sua zona Sar senza chiedere soccorso.
Perché Malta ha una posizione diversa dalla nostra?
Valletta non ha ratificato l’emendamento alla Convenzione Solas (Safety of Life at Sea) che attribuisce allo Stato responsabile della zona Sar dove è avvenuto l’evento la competenza a scegliere il Pos, ritenendo che esso vada individuato nel luogo più vicino al punto di soccorso. Giustamente tuttavia Malta fa notare che la questione è teorica, poiché molti degli eventi Sar non iniziano nella sua zona ma in quella libica. Ma sarebbe ora di comporre la divergenza di opinioni tra Malta e Italia sulla scelta del Pos.
Come?
La Ue dovrebbe promuovere tra gli Stati membri l’armonizzazione della legislazione sui soccorsi e l’adozione di posizioni comuni su regole e procedure del Sar, anche se questa non è materia prevista dai trattati Ue. Si pensi che probabilmente in Europa solo noi abbiamo il reato di omissione di soccorso in mare.
Ciò che succede nel Mediterraneo centrale sembra ormai seguire un copione definito. L’azione di Search and Rescue delle Ong appare sistematica, programmata. Quali considerazioni deve indurre questo aspetto non trascurabile?
Di certo è programmata poiché il soccorso delle Ong non può ritenersi occasionale come prevede la situazione indicata nell’art. 98, co. 1 dell’Unclos. In un certo modo le Ong svolgono quindi un ruolo “sussidiario”, potremmo dire, nei confronti dei servizi Sar nazionali competenti per istituto ad intervenire in soccorso secondo il comma 2 del citato art. 98.
Una “sussidiarietà” impropria, illegale.
Illegale no di certo, perché alcuni servizi Sar, compreso il nostro, possono avvalersi del supporto dei privati. Quello che lascia perplessi è il carattere “sistematico” e non occasionale dell’attività delle Ong, che configura una sorta di torsione del diritto.
Allora qual è il punto?
Quello che manca nel Mediterraneo è una vera cooperazione tra gli Stati nel Sar. Noi non abbiamo ancora un accordo Sar con Malta che definisca le procedure di reciproco intervento e magari anche la scelta congiunta del Pos, sentita la Ue, nonostante la cooperazione transfrontaliera nel Sar sia incoraggiata dall’Unclos e data per scontata dalla Convenzione di Amburgo del 1979 specificatamente dedicata al Sar. Da questo punto di vista dovrebbe perseguirsi quella che è definita come la “regionalizzazione del Sar”. Un esempio positivo in materia è la decisione francese di accogliere parte delle persone della nave Ocean Viking. Sarebbe ora, a questo punto, di stipulare finalmente un accordo di cooperazione Sar con Parigi.
Cancellerie europee e Ong: regia politica o fattuale complicità governativa?
Non credo possa parlarsi di complicità; forse si tratta di indifferenza o peggio di piacere per le difficoltà italiane a confrontarsi con l’esodo verso le sue coste. E poi c’è la convinzione che solo l’Italia debba pagare un prezzo così alto per la sua collocazione geografica al centro del Mediterraneo e per la sua storica propensione ad essere invasa.
Se i naufragi non sono realmente tali ma sono eventi organizzati, che senso ha appellarsi al “diritto internazionale del mare”?
Il diritto del mare dovrebbe essere la bussola per orientare l’azione degli Stati in materia di soccorso ai migranti, ma è un diritto lacunoso, applicabile tra l’altro a “situazioni normali” come quello del naufragio del Titanic da cui ha preso avvia l’elaborazione dei principi del soccorso. Di soccorso e assistenza in mare parla solo il Protocollo di Palermo del 2000 che è però rimasto lettera morta e che tra l’altro prevede anche i respingimenti in mare verso i Paesi di origine. Altro sono i diritti umani e quelli discendenti dalla Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati che hanno una loro specifica autonomia.
Continui.
Un’applicazione combinata delle due sfere giuridiche è stata fatta comunque dalla sentenza della Cedu sul caso Hirsi che ha condannato l’Italia per respingimenti collettivi verso la Libia. Anche la nostra Cassazione, nella sentenza del 2020 sul Caso Rackete, ha interpretato evolutivamente il diritto del mare mettendo in relazione il soccorso con lo sbarco in un Pos. Tra l’altro la decisione della Cassazione è alla base della citata norma del Dl 130/2020. Circa il ruolo delle Ong nel Sar va notato che noi abbiamo cercato di regolamentarlo nel 2017 con il cosiddetto “codice Minniti”, senza riuscire però né a renderlo di applicazione generalizzata, né di farlo recepire in qualche strumento della Ue.
Come incide il pull factor in quanto sta avvenendo?
Indubbiamente l’effetto annuncio condiziona parecchio l’immigrazione via mare. Il termine fu coniato dalla stampa inglese nel 2013 per indicare negativamente la nostra operazione Mare Nostrum.
Più che effetto annuncio, è una realtà: più “salvataggi” vanno a buon fine, più migranti salpano, più i trafficanti e Ong guadagnano.
Forse lei ha ragione. Di certo la cooperazione internazionale per criminalizzare il business dei trafficanti è ancora embrionale. L’Italia dovrebbe pretendere un maggior impegno della Ue e delle Nazioni Unite.
Chi è interessato a non cambiare il Trattato di Dublino e perché?
Gli Stati che sono fuori dal raggio d’azione dei migranti via mare, certi di poter continuare in questo modo ad esser fuori dai problemi dagli arrivi irregolari.
(Federico Ferraù)
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