“Il nostro credo non è soltanto una lista di articoli di fede, ma una persona viva, Gesù. La nostra fede è Gesù”. Parole di Papa Francesco rintracciabili nella prefazione di un volume appena uscito per Piemme, una Vita di Gesù che rimpolpa un genere letterario che in oltre duemila anni di storia cristiana ha avuto i suoi entusiasti interpreti. A parte i quattro evangelisti, scrittori e filosofi del calibro di Friedrich Hegel, Blaise Pascal, François Mauriac, Lev Tolstoj, Ernest Renan, fino ai più contemporanei Shusako Endo e Joseph Ratzinger si sono cimentati nell’opera. Roba da far tremare i polsi, eppure Andrea Tornielli, giornalista e scrittore di cose sacre e non, negli ultimi anni direttore dei media vaticani, ha tentato l’impresa, confortato dalla compagnia di Jorge Mario Bergoglio, quasi un coautore.
L’audacia, nel tornare a una narrazione che non solo è citatissima, ma ampiamente spoilerata, nasce dal bisogno dichiarato di rispondere ad un amico, don Primo Soldi, che lo invitava appunto all’impresa, ma anche dalla necessità di raccontare una storia che appartiene a tutti, mettendo in gioco se stessi. E devo dire che Tornielli lo fa subito, nella prima pagina, quella della dedica, mostrando la tenerezza del nonno verso il nipotino, il piccolo Joseph, a cui augura di “incontrare il Protagonista del libro” e “che gli sia donata la Grazia di lasciarsi attrarre da Lui”. Una dichiarazione che rivela la sostanza del libro, e che oltre a fornire, con una prosa fluida e romanzata, la cornice storica segnata dalle vicende del Nazareno, rivela anche la dinamica evangelica, quella dell’“incontro”, probabilmente la parola più ricorrente nel poderoso volume.
Il libro racconta la vita di Gesù dalla nascita a Betlemme, fino alla morte in croce, a Gerusalemme, e alla resurrezione, attingendo dai Vangeli e dalle omelie, discorsi, catechesi di Papa Francesco, intrecciandoli ad una narrazione incalzante, storicamente inappuntabile, che assorbe ricerche esegetiche e filologiche, ma consente di mantenere la narrazione sciolta, veloce, quasi cinematografica.
L’impressione è quella di essere nella Palestina di quasi duemila anni fa, sguardo tra gli sguardi che seguivano il Rabbi nella sua predicazione. In una presentazione del libro, il card. José Tolentino de Mendonça, teologo e prefetto del Dicastero della Cultura e dell’Educazione, ma anche letterato, poeta, drammaturgo tra i più apprezzati e conosciuti in Europa, ha spiegato come non si possa affrontare il mistero dell’Incarnazione senza ricorrere alla narrazione. Ed è appunto ciò che fa Tornielli, nella consapevolezza che “l’incontro con Gesù, oggi come duemila anni fa, è una questione di cuore, di sguardi, di commozione che prende fin nelle viscere”.
Così si affida all’immaginazione, sostenuta dalle più accreditate scoperte bibliche, ma radicata nel proprio vissuto, che è poi quello di un uomo del nostro tempo che desidera la pienezza del proprio cuore. Il cardinale portoghese, corroborato da citazioni dotte, nella sua presentazione ha elogiato l’uso dell’immaginazione, via per conoscere il reale. “Credere in Dio è anche immaginare Dio” ha spiegato, “il cristianesimo è anche un patrimonio d’immaginazione”.
E basta tornare ancora una volta ai vangeli per scoprirlo. Proprio la povertà simbolica della cultura odierna, come sostiene padre Timothy Radcliffe in un suo saggio, Accendere l’immaginazione. Essere vivi in Dio, è “l’ostacolo più grande al cristianesimo”. Molto di più dell’ateismo secolare. Un’ argomentazione che andrebbe più a lungo scandagliata. Per ora lasciamoci attrarre nel vortice della bellezza eterna della storia di Gesù.
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